A tu per tu con Federico Bruno, il documentarista anticonformista per eccellenza

federico brunoFederico Bruno è uno dei più grandi documentaristi italiani, anticonformista per eccellenza, si tiene al di fuori dall’industria cinematografica commerciale e da ogni compromesso col potere, mantenendo un’indipendenza, come direbbe De Andrè, “ostinata e contraria”. Incontro Bruno nel suo studio in via Falloppio, a due passi dal Policlinico. E’ lucido, preciso, implacabile. La sua è una confessione spasmodica e senza rimorsi, rabbiosa e intelligente. A parlare con lui viene la voglia di porsi un esame di coscienza, sulla verità del nostro paese, che costringe un’artista del genere a proiettare i suoi acutissimi lavori in festival indipendenti, centri sociali, case occupate.

1-C’E’ STATO UN FILM CHE L’HA CONVINTO DEFINITIVAMENTE A INTRAPRENDERE LA CARRIERA DI REGISTA O LA VOCAZIONE E’ GIUNTA DIVERSAMENTE?
Sì, ci sono stati due film: La ricotta di Pier Paolo Pasolini e Fino all’ultimo respiro di Jean Luc Godard. Ma ciò che forse mi ha ispirato di più è stata la ricerca della Verità. Io sono sempre stato un animo ribelle pur venendo da una famiglia romana alto-borghese. La Verità in definitiva è la mia fonte d’ispirazione, mi piace creare un qualcosa di utile alla società. Il mio atteggiamento però è sempre stato rigoroso e umile. Una volta infatti Marcello Mastroianni mi disse che i più grandi registi sono semplici e umili, mentre i più insignificanti ariosi e spocchiosi.

2-LEGGENDO LA SUA FILMOGRAFIA SI NOTA LA MASSICCIA PRESENZA DI DOCUMENTARI. SI SENTI QUINDI PIU’ INQUISITORE O NARRATORE?
Io nasco come scultore e poi fotografo, proprio come Kubrick (ride). Ho esordito nel 1987 con Black tunnel, ma tutti i miei primi lavori sono mediocri perché mancano di scrittura. Così sono dovuto andare a Los Angeles, all’università UCLA, a imparare la “tecnica” di scrittura cinematografica e rimasi profondamente sorpreso quando nella prima lezione il professore Robert McKee parlò di Cesare Zavattini. Zavattini in sostanza affermava che per scrivere una sceneggiatura basta uscire al mattino, passeggiare e trascrivere ciò che ci ha colpito di più; quello sarà infatti l’anima del film da scrivere.

3-LEI SI E’ OCCUPATO DI EMIGRAZIONE, ABUSIVISMO, MALATTIE PSICHICHE, ECC. CHE VALORE HA LA QUESTIONE CIVILE NEI SUOI LAVORI?
Io ho appreso la tecnica documentaristica da Vittorio De Seta e l’ho appresa come se fosse un lavoro rigoroso, che avesse ben poco a che vedere con l’arte ma piuttosto come impegno civile. Poi dal fotografo Vittorio Storaro ho imparato a catturare la Realtà e a rappresentarla in modo veloce e sintetico; il processo cinematografico per eccellenza. Riguardo invece allo scopo “documentaristico”, credo che il cinema di Rosi ha cambiato molto, film inchiesta come Salvatore Giuliano o Il caso Mattei sono diventati un arma. Specifico è il caso di Martinelli con Piazza delle cinque lune, in questo caso il cinema può addirittura fornire piste ulteriori, che la Giustizia aveva tralasciato.

4-CON “SCATOLA MAGICA” SI E’ OCCUPATO DI CENSURA. COME SI E’ RAPPORTATO CON QUESTO PROBLEMA NEI SUOI LAVORI?Scatola magica è un film pseudo comico-grottesco, in bianco e nero alla maniera di Chaplin. C’è Leo Gullotta ed è, un po’ come tutti i miei lavori, un esplicito attacco al Potere, quella forza perversa che fa da filtro alla Verità. Il messaggio del film è che il potere non si uccide, poiché morendo un autorità despota ne è subito pronta un’altra a prendere il suo posto. Il Potere è anche il Colui che decide chi può fare cinema e chi no. Io non faccio parte del Potere, è soprattutto per questo motivo che nessuno dei miei film è stato distribuito. Vogliono impedirne la visione pubblica, perché sono film scomodi.

5-COME SI E’ AVVICINATO ALLA FIGURA DI PASOLINI, UN INTERESSAMENTO SCATURITO NEL FILM “PASOLINI: LA VERITA’ NASCOSTA”?
Riallacciandomi al discorso sulla ricerca della Verità, mi sembrò strano, dopo il periodo di dieci anni trascorsi in Spagna, che nessuno, tranne Grimaldi, ma in maniera del tutto “licenziosa”, e anche Giordana, si sia voluto occupare della verità nascosta del delitto Pasolini. Ho quindi tentato di restituite una realtà scomoda, quella che non è mai emersa, voglio dire di un complotto ben architettato che si è servito di Pelosi, con la regia dei Servizi Segreti. Ho girato il film sapendo di rischiare l’indifferenza mediatica, cosa che è avvenuta. Il film infatti non ha ancora un distributore e difficilmente lo troverà. È un film politico, che attacca il Potere e nessuno si prende questa responsabilità. Sono costretto a organizzare proiezioni in centri sociali e in posti che io definisco “vergini”, “puri” dove pura è anche l’attenzione dello spettatore.

6-QUALI SONO STATE LE MAGGIORI DIFFICOLTA’ CHE HA DOVUTO AFFRONTARE DURANTE LA LAVORAZIONE DEL FILM?
La più grande difficoltà è stata ovviamente trovare il protagonista, scovare una persona che assomigliasse realmente a Pasolini mi ha divorato un tempo enorme, sono persino andato a cercare il mio Pasolini a Parigi, a Madrid … dopo essere stato costretto a scartare l’ipotesi di Massimo Ranieri, per ragioni di età. Poi all’improvviso mi arriva la candidatura di un attore non professionista, ma dalla straordinaria somiglianza con Pasolini, quasi un sosia. È persino in grado di imitarne la voce e i gesti … Dopo la prova costumi, non ho avuto più dubbi. Dal punto di vista del Pasolini intimo mi sono servito dell’aiuto del fotografo Dino Pedriali e di Gideon Bachmann che avevano conosciuto e fotografato Pasolini; soprattutto gli splendidi scatti di Pedriali a Sabaudia e a Chia mi sono stati utilissimi.

7-COS’E’ CHE L’AFFASCINA MAGGIORMENTE DI PASOLINI?
Lui è stato un genio a tutto tondo. Aveva ragione Moravia: come lui ne nascono uno, due al massimo in un secolo. Il cinema che scuote, quello vero, che fa ragionare e smuove la coscienza, è morto con lui. Restituire il giusto valore e la verità su questa immensa figura ancora purtroppo bistrattata mi preme molto, tanto che ho persino aiutato Pino Pelosi nel redigere il suo libro-confessione “Io so … come hanno ucciso Pasolini. Storia di una amicizia e di un omicidio” edito da Vertigo. Ricordandomi inoltre della mia vecchia passione per la scultura ho anche scolpito il volto di Pasolini e ho proposto al Comune di Roma di esporlo e intitolare una via o uno slargo a quest’uomo cui Roma è artisticamente e socialmente debitrice. Il sindaco Marino purtroppo ancora non mi ha dato risposta, spero lo faccia.

8-COSA NE PENSA DEL DOCUMENTARIO “SACRO GRA”, LEONE D’ORO A VENEZIA?
Credo che il Leone d’Oro non debba essere dato a un documentario in quanto tale. In questo Bertolucci ha la sua dose di colpevolezza, avendolo oltremodo elogiato. O lo si assegna in un’unica sezione o crei una sezione speciale che tenga le cose separate. Ma poi, se ci rifletto, non mi piace neanche la differenziazione tra documentari e docufilm. Il regista è un lavoratore come tutti gli altri, e se agisce rappresentando la realtà lealmente, allora vuol dire che il suo lavoro è meritevole a prescindere.

Ignazio Gori

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