Barriera Corallina minacciata dall’industria mineraria

L’Australia potrebbe permettere ai colossi dell’industria mineraria di costruire uno dei porti carboniferi più grandi del mondo proprio sopra l’ecosistema della Barriera Corallina, patrimonio dell’Unesco dal 1981, per dar vita a un traffico di più di 8 miliardi di tonnellate di carbone, dai noti effetti tossici sul pianeta, e mettendo in questo modo a rischio la sopravvivenza di questa intera area dichiarata patrimonio dell’umanità. Al momento il governo americano sta valutando l’effettivo rischio, a mettergli la pulce nell’orecchio è stata l’Unesco.

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In Australia, le richieste di carbone stanno aumentando e questo porterà a breve all’apertura di un nuovo sito di estrazione nel Queensland centrale, una scelta che aumenterà notevolmente il traffico delle navi. Si stimano oltre 10mila navi cariche di carbone rispetto alle attuali 1.722. numero di siti industriali e portuali lungo la costa.

Gli attivisti australiani stanno facendo pressione sul governo e anche l’Unesco sta scendendo in campo. La chiave del progetto è affidata a una banca statunitense, la Export-Import Bank. Esercitare una pressione a livello globale sulla banca potrebbe provocare lo sdegno della comunità internazionale e puntare i riflettori sulle questioni ambientali nel bel mezzo della campagna elettorale statunitense. Solo in questo modo si potrebbe bloccare la banca statunitense, mettendo in mezzo la stampa e la campagna elettorale.

Ed il premier Julia Gillard, la stessa della carbon tax contro le industrie, (LEGGI QUI) proprio lei che voleva diminuire l’emissione di sostanze inquinanti, sembra abbia ceduto davanti ai soldi prodotti dai colossi minerari.

Puntare sulla pressione nei confronti di Fred Hochberg, il presidente della banca per  interrompere subito il finanziamento per il porto carbonifero sulla Grande Barriera Corallina. Non c’è molto tempo per agire, le riunioni per consolidare il progetto continuano.


Il progetto per l’enorme porto carbonifero metterebbe ulteriormente a rischio il già fragile ecosistema della barriera, costruendo una vera e propria base per l’esportazione del carbone in quelle stesse acque e immettendo più di 8 miliardi di tonnellate di carbone per esportarlo nel mercato.

Più di 20 navi al giorno attraverserebbero continuamente quest’area finora incontaminata, trasportando carbone inquinante dall’entroterra australiano alla Cina. Ma forse è opportuno non dimenticare l’incidente del 2010, quando una di queste navi s’incagliò formando una chiazza di petrolio di 3 chilometri nell’area.  Questo, moltiplicato per infinite volte sarebbe il danno causato. Senza contare che la barriera corallina australiana, una chicca nel mondo, non esisterebbe più. Molte specie di pesci verrebbero estinte con un solo gesto: costruire l’industria di carbone.

Sara Stefanini

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