“Carol” di Todd Haynes

carolIl cinema continua a occuparsi di omosessualità femminile, come se avesse trovato un innocuo canale preferenziale, per non disturbare lo sguardo dei benpensanti, anzi, contrariamente per eccitare un pubblico eterosessuale, senza ricorrere a escamotage narrativi troppo arditi. Dopo *Io e lei* della nostra Maria Sole Tognazzi, ecco che arriva *Carol*, l’ultima opera del talentuoso Todd Haynes, sceneggiatura che si avvale di un romanzo intenso di Patricia Highsmith pubblicato nel 1952 sotto pseudonimo, perché considerato “eccessivamente immorale” dall’America puritana di allora.
La Carol cui fa riferimento il titolo è una elegantissima madame della così detta “upper class” newyorkese – tra visoni, rossetti fiammanti e cappellini alla moda – che facendo acquisti per Natale in un negozio suscita un insolito turbamento nella giovanissima e angelica commessa che si è occupata di servirla, piena di imbarazzo. Perché dico “insolito turbamento” e non “attrazione”? Perché è proprio questo il punto focale del film: si vuole sottolineare – e in un modo a mio avviso sublime – l’innamoramento di due donne etero, quasi inconsapevoli che possa esistere un sentimento del genere tra due donne. <> sono queste infatti le parole usate da Carol per definire la sua innocente spasimante; un amore che illumina la vita all’improvviso, capace di far mollare ogni ormeggio. Questo film infatti non è classificabile tra i film a tematica “omosessuale” (tutti dettagliatamente analizzati sul sito www.cinemagay.it), bensì come un’opera di “sottile slittamento di genere” come ha giustamente indicato Vittorio Lingiardi su Il Venerdì di Repubblica; un’opera che cerca di fare ordine fra cose diverse, che possono capitare a tutti.
Come inizia questo casuale “love affair”? Haynes ce lo mostra con pochi fatti indicativi, in modo da non disturbare lo spettatore in morbosi capitomboli. Carol dopo aver dimenticato i guanti sul bancone del negozio, se li vede recapitare a casa da Therese, la commessa folgorata, che inconsciamente spera in un nuovo (ma stavolta molto meno casuale) incontro. Carol invita subito Therese a cena e da lì comincia una relazione, dapprincipio di riconoscente amicizia, per poi trasformarsi lentamente in amore, il tutto nell’apnea di una metropoli piena di fumi e jazz melanconico (splendida la colonna sonora di Billie Holiday, musa ispiratrice delle due novelle innamorate) e anche di una provincia americana innevata, disseminata di motel e statali solitarie. Il marito di Carol, già scottato da una precedente infatuazione di sua moglie per un’altra “amica del cuore”, avviando le pratiche del divorzio minaccia per “indegnità morale” di negarle la frequentazione della loro figlia, ricattandola con foto e registrazioni audio dei suoi amplessi (dipinti in maniera splendida dal regista, con teneri primi piani) raccolti da un investigatore privato. L’affidamento di un figlio a un genitore bisessuale, e dunque la questione delle “famiglie arcobaleno”, è tuttora argomento spinoso e controverso, e possiamo facilmente immaginare quanto lo fosse ancor di più all’epoca.
Dopo un duro confronto con suo marito e con l’avvocato, Carol saprà scegliere saggiamente, rinunciando né a sua figlia, né alla propria natura; e così Therese, dopo una diatriba con il proprio fidanzato, cederà anch’essa alla sua inclinazione, in un finale sfumato e magico, che suggerisce il proseguimento con uno sguardo inequivocabile di Carol.
La regia di Todd Haynes, già affermatosi sull’argomento dell’omosessualità con lo splendido *Lontano dal Paradiso* (2002) con Julianne Moore, Dennis Quaid e Forest Whitaker e anche dopo il più recente film sulla caleidoscopica vita di Bob Dylan *Io non sono qui* (film che ha avuto a sorpresa il beneplacito dello stesso Dylan), è riuscita a confermarsi ad alto livello, elegante, pulita, con un’ottima fotografia e scenografia, dosando delicatezza e sensualità, senza smancerie compiacenti, luoghi comuni o volgarità. Bravissime entrambe le protagoniste, Rooney Mara nel ruolo di Therese e la magnifica Cate Blanchett, in splendida forma, passionale come ai tempi di *Diario di uno scandalo*.
Forse c’è troppo “romanzo” in *Carol*, nel senso che non ha il realismo de *La vita di Adele*, ma va bene così se si vuol sognare. Non un opera di rottura, ma uno splendido dipinto da osservare, assaporare per lunghi attimi, che innalza il gusto del sublime.
(Ignazio Gori)

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