“Come una matrioska” di Luigi Dionisio

La silloge “Come una matrioska” è mossa da una sottile e amara collera; la collera di un poeta che tramite il romanticismo reagisce all’eccesso tecnologico che riempie e fredda l’animo umano: “Dubito delle parole scritte, vergate a mano o dentro un word. Non hanno faccia per ridere o piangere, né occhi per sognare. Le Edizioni Croce, concedendo il meritato spazio a quella poesia tanto bistrattata nei cataloghi editoriali, hanno dato luce e respiro all’esordio di Luigi Dionisio, barese di nascita ma milanese d’adozione, diplomato perito chimico ed esperto nel settore informatico.

Dionisio infatti non cela la sua insofferenza al moderno propagandarsi dell’indifferenza verso la poesia, quella sincera, e lo fa anche a costo di tradire il proprio lavoro di informatico, in forza di un messaggio che travalica i secoli e che continua, malinconico, a illudersi che il profumo della primavera rinnovi l’amore: “Le emozioni sono petali di rosa/strappati dal vento,/spogliano la bellezza della fioritura”.

I componimenti sono tutti privi di titolo, a suggerire una fluidità narrativa, inconsueta nella poesia recente, dove la lirica tende a sfociare limpida, senza alcuna pretesa intellettuale; e sono innegabili, anche alla luce dei rimandi bucolici, parallelismi con Romanzo di Libero de Libero. Ma la pulizia stilistica e il flusso che non spezza il respiro del lettore, fungono da escamotage a riempire un vuoto – il Vuoto – che la poesia di Dionisio soffre a contatto con il mondo reale, da cui vuole isolarsi, mantenendo nascosto uno scrigno di speranza: “Questo gridare,/ questo assurdo rumore che mi rende sordo,/incapace di ascoltare, è solo per dichiarare al mondo la mia esistenza e respingere l’abbraccio malizioso della fine dei sogni”.

La matrioska nasconde un tormento di parole, che ne racchiudono altre; un’invocazione recondita, espressa alla perfezione dalla perla della raccolta: “Com’è facile spezzare/il sorriso di vetro/ mostrando la maschera/lucida della ragione. E come è fragile l’uomo/ sotto la dorata campana. Suona sempre stonata”.

Ignazio Gori

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