“Felice chi è diverso” un film di Gianni Amelio

Un viaggio leggero come una piuma, leggero e puro come i versi di Sandro Felice-chi-è-diversoPenna, da cui è tratto il titolo. “Felice chi è diverso” è il nuovo lavoro di Gianni Amelio (Leone d’Oro nel 1988 per “Così ridevano”), un documentario sulla condizione degli omosessuali in Italia dal Fascismo ai nostri giorni. Più che un viaggio nella diversità, quello di Amelio è un viaggio nelle diversità, coerente allo spirito della magnifica e immortale poesia di Sandro Penna, manifesto trans-generazionale: “Felice chi è diverso, essendo egli diverso./Ma guai a chi è diverso, essendo egli comune”.

Il film è un garbato kaleidoscopio di interviste, alcune molto emozionanti, altre nostalgiche o più fiere, di uomini anziani che hanno vissuto diversamente la loro condizione di diversità. Ci sono nomi noti come Agostino Raff, Paolo Poli o Ninetto Davoli, l’attore inglese John Francis Lane, Corrado Levi e Ciro Cascina, al altri meno noti o comuni, ma la scelta narrativa di Amelio è quella di non specificare, non scavalcare nè singoli nè singolarità, in modo da far risaltare in tutti gli intervistati la loro intima natura e sensibilità e non la loro immagine pubblica. Il tutto è raccontato intercalando immagini, fotografie, manifesti, fumetti, locandine, filmati di film o show televisivi, forniti dall’Istituto Luce, con articoli di cronaca e testimonianze scottanti sulla angherie che gli omosessuali hanno nel corso dei decenni dovuto subire in forza di una “correzione” sociale. Fa capolino una solitudine cronica, gli elettroshock dei manicomi, i furtivi battuage delle metropoli o le tenere convivenze in piccoli paesini di provincia. Scandali, derisioni e pubbliche gogne, solo per scoprire, a distanza di anni, che molti aspetti non sono affatto cambiati, o al massimo, mutati o celati da ciniche maschere di indifferenza. Spostandosi come su un carrozzone pieno di colori e fantasie, spinto dal solo alito della speranza e dalla voglia di portare alla luce esistenze bruscamente accantonate – come quella del povero Umberto Bindi, martire di una effeminatezza pericolosa e inficiante – il regista calabrese ha saputo raccogliere le testimonianze di una grossa fetta della popolazione, che a guardarla tutt’oggi, non sembra affatto diversa da nessuno. Cambiano le abitudine ai sentimenti, cambiano i connotati sessuali, dettati e “imposti” dal mercato del consumo (anche sessuale) e da una estetica industrializzata. Il naturismo di Ciro Cascina, l’innocente dolcezza di Ninetto Davoli e il sodalizio d’amorosa amicizia con Pasolini, la graffiante lucidità dell’istrionico attore Paolo Poli, danno pennellate di colore e calore ad altre strazianti testimonianze, ad altre più scomode, come quella raccontata da un anziano assistente clericale, che per anni ha nell’ambiente vaticano – contrariamente a quanto si possa pensare – praticato una piena e appagante attività omosessuale.

Rivelazioni tacitamente accettate ma “off-limits” e politicamente scorrette – come l’omosessualità di Paolo VI o la bisessualità di Andreotti, fanno maliziosamente capolino nel percorso narrativo, senza compromettere l’emozione e il grande punto di forza di questo film: la forza di una solitudine raccontata con passione e con amore, di chi ha trovato stabilità con se stesso e con la società e di chi non la troverà mai. Rimane il dubbio se Amelio abbia letto “La gaya vecchiaia”, vera e propria Bibbia d’esplorazione nel mondo degli anziani gay, scritta e sudata dal poeta beat Antonio Veneziani che a mio parete meritava d’essere citato almeno come una delle fonti ispiratrici di questo bel lavoro, alla luce del quale, appare davvero svilente e squallido, dover ammettere che l’Italia – politica in primis – abbiamo ancora bisogno di classificazioni. Quest’ombra, ahimè, si riversa nella risicata distribuzione del film, del quale forse il circuito maggiore farebbe volentieri a meno; basti pensare che nella sola Roma appena due cinema hanno “osato” proiettarlo con una certa insistenza: il Nuovo Cinema L’Aquila e il Quattro Fontane.

Ignazio Gori

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