Gli psichedelici Departure Ave. e il loro primo album
Ecco All the sunset in a cup dal tono vintage e progressive

Departure+ave++2013Quattro ragazzi poco più che ventenni che danno vita ad un album, dal sapore un po’ vintage, in un box di Roma Nord. E’ successo ai Departure Ave., la band nata nel 2012 che a gennaio ha dato vita all’esordio All the Sunset in a Cup. Esordienti ma con la voglia di emergere, i ragazzi hanno messo immediatamente in condivisione libera e in download gratuito. All the Sunset in a Cup, espressione inglese che significa “Tutto il tramonto in una tazza”, può essere definito e classificato in innumerevoli modi, poiché presenta umori vicini all’indie-pop e alla psichedelia, ma anche al progressive e allo slowcore.

ASCOLTA L’ALBUM. In soli sei mesi scarsi di prove ed improvvisazioni la band matura l’idea di un disco, un live in studio, registrato e missato dai membri del gruppo. Ed ecco che nasce la loro prima creazione. Il disco, registrato in un salone di una casa in Salento a cavallo fra il 2012 e il 2013, risente delle due differenti anime compositive della band. La prima, più psichedelica, non è altro che il frutto di lunghe improvvisazioni; la seconda, invece, più ragionata e più pop, dà vita ai brani più sofisticati e misurati del disco. Durante l’esperienza delle registrazioni il gruppo ha risentito di diverse fascinazioni extra-musicali. Fra queste spicca senz’altro la poesia di Emily Dickinson, fonte di ispirazione per ben tre testi presenti nell’album. Tutto il disco è un live in studio, una riproduzione fedele di ciò che è stato suonato nel salone della casa salentina.

depNonostante le differenti e discordanti influenze il disco riesce a essere omogeneo e conciliatorio. L’estrema maturità di questo esordio discografico è evidente già nella opener ‘And Revery’, pezzo che inizialmente richiama i Radiohead di ‘In Rainbows’ e poi sfocia in una sofisticata coda psichedelica, e che nonostante i sette minuti di durata convince per la sua coerenza compositiva.

I BRANI. Il resto della setlist, invece, prevede dei meravigliosi brani dalla durata molto più contenuta. ‘No Conclusion’ è un pezzo che sa di ambient e trip-hop, ‘27/B’ è un arrembante pezzo jazz-rock suonato come se fossero gli anni ’60. Brani come ‘Unhappy Emily’ e ‘Do you Remember the Sun?’ toccano le corde più sofisticate e pop dell’enseble. La prima è una gentile ninnananna, la seconda alterna un’evocativa strofa floydiana ad un frenetico ritornello. E se ‘How We Sang’ potrebbe essere un pezzo preso in prestito dall’indie-pop anni ’80 di matrice smithsiana, ‘Amarillo,TX’ è senz’altro un brano che vive di suggestioni provenienti dai film di Tarantino. ‘Subway’ si configura come perfetto collante fra le parti più rock dell’album e l’amore per il post-rock che la band lascia solo intuire. La chiusura, esattamente come l’incipit, è affidata a un altro pezzo lungo, quasi a volere rinchiudere dei piccoli bozzetti all’interno di due macrostrutture. ‘Call out the Doc’ è una chiusura malinconica, uno slow-core mesto e angosciante, che trova conciliazione solo nell’ipnotico riff finale.

Sara Stefanini

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