“Il fotografo e lo sciamano” di Dario Coletti

IL FOTOGRAFO E LO SCIAMANO dorso 12mm OK.inddLo scorso ottobre, al Maxxi di Roma, c’è stato un bellissimo incontro pubblico condotto da Achille Bonito Oliva. Il tema dell’incontro era il rapporto tra cinema e fotografia nell’opera di Win Wenders. Davanti a un’aula strapiena di studenti e semplici appassionati del cineasta tedesco, lo stesso Wenders ha tentato di spiegare i suoi punti di vista su “fotocinegenia”, ovvero il conflitto che un regista si vede costretto a intraprendere all’inizio di ogni nuovo film, il conflitto tra il voler narrare e il voler vedere, o meglio contemplare. Secondo me è la stessa operazione che deve intraprendere un fotografo di professione alle prese con la scrittura.

Ho citato Wenders per introdurre all’attenzione di un libro appena pubblicato da Postcart, acuta casa editrice fondata proprio da un fotografo, Claudio Corrivetti, il quale ha dato alle stampe “Il fotografo e lo sciamano”, un progetto “fotopoetico” di Dario Coletti, contenente appunto diciannove racconti, o frammenti narrativi poetizzanti, con foto dell’autore.

Trattandosi di un libro di un fotografo “di frontiera” qual è appunto il Coletti, la scrittura subisce un forte impatto descrittivo, anche se il tono dei racconti è volto più all’intimità di un colloquio personale, che attraverso la fotografia vuole farsi ricerca spirituale. Attraverso i suoi viaggi in Italia e nel mondo, dallo Sri Lanka ad Haiti, dalla Sardegna alla natia Roma, il dubbio, del tutto poetico, che pervade l’animo di Coletti è sempre lo stesso: può la fotografia restituire l’orgoglio? Nutrire la speranza? Sogni, flashback e visioni si susseguono, in un volume snello e fresco, dolcemente incastrati in una sorta di schema diaristico, quasi un’agenda di viaggio in cui l’autore riversa volti ed esperienze, tagli di luci e di ombre, interpretando le parti a volte di uno zingaro gentile, altre di un pirata stenvensioniano, altre ancora di un “assassino”, perchè tutti i fotografi sono assassini di un ritaglio di vita immortale.

Ma oltre a scrivere e a descrivere, Dario Coletti non si riserva di lasciar parlare solo le sue splendide foto, ma acuisce alcuni pensieri sociologici e politici con una verve dolce e allo stesso prepotente, che sembra rinnovare la speranza un popolo segreto e afflitto: quello che ancora crede alla forza della fotografia. “Il fotografo e lo sciamano”, è un libro prezioso, raro come un esercizio spirituale ben riuscito, come una preghiera che coglie nel segno. Ma la fotografia non è solo un lavoro intellettuale, è invece anche e soprattutto sforzo fisico: bisogna vincere un conflitto troppo intimo, “uccidere” lo Spettatore in noi per poter ritrarre l’infinito. Wenders ha ragione.

Ignazio Gori

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