“Il portiere e lo straniero” di Emanuele Santi

emanuele_santi_il_portiere_e_lo_stranieroLo sport – e il calcio in particolare – come motore di ricerca per indagare
l’animo umano. Sembra essere ormai diventato, grazie soprattutto al
giornalista e commentatore sportivo Federico Buffa, un nuovo modo di
raccontare la storia e di catturare l’attenzione di un raggio più ampio di
pubblico, quei giovani ad esempio, di tutto il mondo, che nel calcio ripongono
una fede passionale, parabola della vittoria e del fallimento della loro stessa
esistenza sociale.

Emanuele Santi, classe 1970, giornalista e scrittore calciofilo, con il libro *Il
portiere e lo straniero* (L’Asino d’Oro, 138 pp., Euro 12) ha voluto usare il
mito del calcio per riscrivere l’infanzia e la prima giovinezza del Premio Nobel
Albert Camus. Non tutti infatti conoscono la passione per il calcio nutrita
dall’autore de *Lo straniero*, il quale ha anche militato come portiere in una
squadra giovanile di Algeri, la sua città, e che solo un infortunio e altri
problemi fisici prolungatisi per tutta la vita, hanno impedito la continuazione
dell’attività sportiva. Santi dunque, con una vena storica e nozionistica,
ripercorre le origini del calcio nella terra di Algeria, evocando pionieri
impolverati che usavano involucri di stracci come pallone, dalle prime
influenze francesi, ai primi eroi locali, fino alla formazione delle prime equipe
formate esclusivamente da arabi. E poi le accese rivalità dei derby cittadini, dei
ragazzi nati in quartieri diversi, le temibili squadre che venivano dalle città del
deserto con i loro demoni in rivolta … Tutto questo fa da sfondo alla nascita
della passione di Camus per il calcio e contemporaneamente a quella per la
letteratura, da studente modello, promessa letteraria già alle prime classi
scolastiche scoperto da un lungimirante maestro, i sacrifici famigliari, fino
all’interessamento alle misere e sottopagate condizioni degli abitanti del
deserto, all’iscrizione del Partito Comunista, per arrivare infine alla scrittura,
con uno stile lapidario e poetico, di uno degli ineguagliati capolavori della
letteratura del Novecento, che è “Lo straniero”.
Quello di Santi non è solo un libro su Albert Camus ma è anche un viaggio
nell’identità di una nazione attraverso e i suoi “ santi proletari”; è come se si
partisse dal romanzo *I ragazzi della via Pal* di Ferenc Molnàr per raccontare
la storia sociale e politica dell’Ungheria fino alla mitica nazionale finalista
mondiale del 1938 e poi ancora nel 1954 con il leggendario Puskàs, eventocoronazione dell’identità e dell’orgoglio magiaro.
Il viaggio che lo stesso autore del libro compie ad Algeri, la città resa nota al
mondo da due capolavori cinematografici quali *Il bandito della Casbah* del
1937 di Julien Duvivier e *La battaglia di Algeri* di Gillo Pontecorvo risalente
al 1966, è il pretesto per ripercorrere le strade del giovane Camus, di
assaporare la stessa polvere, di respirare la stessa brezza marina, gli stessi
colori pastello di una città magica, unica. E allo stesso tempo è un libro
inchiesta e un viaggio iniziatico che ha qualcosa di estremamente personale,
come se l’autore, dopo averci spiegato la sua personale lettura de *Lo
straniero* avesse bisogno – coadiuvato dalla passione per il calcio – di recarsi
nei luoghi del noto romanzo e scoprire attraverso gli occhi del fantasma di
Camus una via da seguire, un qualcosa di prezioso che al lettore non è dato
completamente sapere, a volte nei panni di un arguto investigatore, altre come un turista impacciato che chiede strampalate indicazioni stradali ai brutti ceffi della Casbah, come Totò le Mokò.

Camus lottava contro la “desertificazione”, la desertificazione dell’anima,
come spiegato nel breve e meraviglioso romanzo *La caduta* ma il “deserto”
nella sua opera è fondamentale anche come sinonimo di indifferenza, una
indifferenza dilagante verso i popoli più poveri, oppressi, che al suo sguardo
erano quelli del deserto del nord Africa, ma non solo; e sarebbe davvero
interessante ampliare il pensiero di Camus al mondo di oggi, dove il mondo
arabo è purtroppo infangato dal terrorismo e dalla guerra dei paesi
industrializzati per il controllo del petrolio.
Forse il calcio – come rito religioso, parafrasando Pasolini – potrebbe salvare
l’anima più pura dell’uomo?
Era il sogno di Camus.

Ignazio Gori

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