Il “Sonno giapponese” di Gabriele Galloni

I microcosmi che riempiono il quotidiano di Gabriele Galloni (Roma, 1995) sono degli origami distorti, piccole e sofferte impalcature di città sospese o sotterranee, popolate di sogni e visioni.
I raccontini infatti che compongono – con studiata e geometrica attenzione – “Sonno giapponese” (Italic Pequod, 75 pp. 13 Euro) sono delle grottesche variazioni della realtà: ma attenzione, non la realtà generalmente intesa tale, ma la realtà di chi vuole, vorrebbe o si è già allontanato da tutto, con macabro disincanto.
I sottomondi gnomici che ossessionano Galloni non hanno la pretesa provocatoria – e spesso ipocrita – di certa paraletteratura giovanile contemporanea, ma diversamente sono delle vere liriche, dei “salmi”, attraverso il canto dei quali, l’autore – distante e freddo come un regista-ingegnere di strambi modellini – ammonisce i voltafaccia, i doppiamaschera che capita purtroppo di incontrare ogni giorno. E dunque usando una scellerata ironia – ma sempre ambiguamente dosata composta e asettica – e soprattutto una sacra blasfemia (Galloni è scomunicato evangelista di se stesso), l’autore riesce a materializzare i sin troppo carnali fantasmi di Boris Vian (La schiuma rossa, Le formiche), di Guillaume Apollinaire (Il Bestiario), di Georges Bataille, di Copì, dell’amato Juan Rodolfo Wilcock, di Tommaso Landolfi (Il mar delle blatte) … e di un’altra manciata di profeti “elettrici”, per usare un aggettivo whitmaniamo.
Ma non è solo una questione di citazioni, perché la prosa-dimensione di Galloni subisce un certo velo pop di tipo moderno, dove le tendenze dei manga giapponesi, della musica rock anni ‘70 o dei serial televisivi hanno la loro dovuta importanza idolatrica. Viene da pensare ai Ghostbusters, alla serie tv stracult di Batman e Robin, la prima, quella con Adam West e Burt Ward, ma anche ai mercatini dell’usato della provincia americana dove Dennis Cooper si aggirava in cerca di piccole “vittime” e di disagiati sessuali … e a tanti altri recinti sociali.
La concisione e la pulizia stilistica di Galloni sono una delizia e agevolano il salmodiare di questi versetti di natura “twink” e “intersex” e in definitiva, a mio avviso, ne fanno una lisergica evasione dalla realtà, un esercizio coscienziale che sa di giostre e lunapark arrugginiti, di infiniti litorali laziali che prendono il posto delle ferlinghettiniane Coney Island of my mind …
Un esercizio coscienziale insomma, sicuramente – ma non moralista – che tenta di avvertire, di ammonire le nuove generazioni di giovani, ammorbate ormai da definizioni “fake” della felicità.
Forse, come suggerisce Galloni, meglio isolarsi, godersi le proprie paure, e dormire. Magari un lunghissimo e rigenerante sonno giapponese.

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