Informazione negata, Sallusti e la giustizia

L’EDITORIALE DI DIEGO CIMARA. Anche se Sallusti in carcere non ci va, rimane gravissimo l’abuso giurisprudenziale che blocca con fare dittatoriale la LIBERTA’ DI STAMPA!! In un paese democratico non si può finire in galera per reati di opinione. Se Sallusti è stato condannato ingiustamente, è colpa della legge Cirielli, cioè di Berlusconi.

LEGGI QUI L’ARTICOLO CHE HA CONDANNATO SALLUSTI

La prigione (14 mesi sono una enormità,una pena eccessiva!!) per un articolo. Un professionista che lavora nell’informazione, un cittadino perde il diritto alla libertà personale per essersi espresso pubblicamente su una questione oggettiva che coinvolge un altro (in questo caso un magistrato). Si facessero un’esame di coscienza quei giudici che pensano di essere al di sopra delle parti ed entrano a gamba tesa in problemi come l’aborto o l’affidamento! La lesa Maestà della giustizia italiana non viene mai condannata. Chissà perché?

”Ho appena annunciato ai miei giornalisti che stasera mi dimetto”. ha aggiunto Sallusti. E così ha fatto. ”Mi rifiuto di essere rieducato da qualcuno, credo che l’affidamento deve avvenire per qualcuno che spaccia droga magari anche per qualche politico che ruba”, ha detto il direttore del Giornale, spiegando di non avere intenzione di chiedere l’affidamento ai servizi sociali.
”Mi rifiuto di chiedere la grazia al presidente Napolitano, perchè credo che in quanto capo della magistratura italiana in questi 7 anni non abbia difeso a sufficienza i cittadini dall’invadenza di una giustizia politicizzata”. Lo ha detto Alessandro Sallusti a Pomeriggio 5. Ma ribadisce ”la necessità di intervenire al più presto sulla disciplina della responsabilità per diffamazione del direttore responsabile”.

Con una nota dell’ufficio stampa della Suprema Corte, la Cassazione ritiene che ”è opportuno precisare” aspetti del ‘caso Sallusti ”non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi”. Per prima cosa la falsita’ della notizia contenuta nell’articolo anonimo attribuito a Sallusti. La Cassazione ha confermato la condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata nei confronti del direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Il ricorso del giornalista è stato rigettato. La V Sezione Penale ha inoltre condannato Sallusti alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E’ stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone imputato insieme a Sallusti. a decisione su dove e come il giornalista dovrà scontare la pena, passa nelle competenze della magistratura di Sorveglianza di Milano. Lo si è appreso da fonti della stessa Cassazione. Al Tribunale di Sorveglianza i legali di Sallusti potranno chiedere le misure alternative al carcere.
La decisione su Alessandro Sallusti è “sconvolgente”, per il segretario Fnsi Franco Siddi. “E’ una norma illiberale nell’ordinamento di paese dalla costituzione democratica – aggiunge Siddi all’ANSA – che sconfigge e mortifica la libertà di espressione, e priva un uomo della libertà personale. I giornalisti sapranno dare una risposta unitaria e straordinaria, oggi dobbiamo sentirci tutti condannati come Sallusti”.

Innumerevoli sono state le questioni di costituzionalità sollevate sia con riferimento all’art. 3 della Costituzione ( principio di uguaglianza) che all’art. 21 della stessa (libertà di stampa), incidenti però dichiarati sempre non fondati in ragione di una intima coerenza che secondo i giudici costituzionali rivestono le norme citate con i principi generali, in special modo avendo ritenuto il direttore responsabile punibile a titolo di colpa e quindi in presenza di un elemento psicologico del reato di molto attenuato.Se le carceri non sono stipate di giornalisti e direttori responsabili ciò è dovuto alla natura del trattamento sanzionatorio previsto dalle norme incriminatrici.
Con la sola eccezione del reato di diffamazione aggravato dall’attribuzione di un fatto determinato ex art. 13 della citata legge, il reato di diffamazione a mezzo stampa è punito con la multa o con la reclusione da 6 mesi a tre anni, mentre nell’ipotesi precedente, la pena è della multa e della reclusione sino a 6 anni.Spesso il giornalista ed il direttore responsabile sono imputati per aver diffamato taluno attribuendogli un fatto determinato, ed allora perché, se condannati, non vanno in carcere?Il giudice , qualora ritenga almeno equivalenti le circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata (quella appunto dell’attribuzione del fatto determinato), ai fini della pena applica le sanzioni previste per il reato di diffamazione semplice e cioè può applicare la multa che è prevista in via alternativa alla detenzione. Per ovviare ai rigori della legge, comprensibilmente il Giudice largheggerà nella concessione delle attenuanti generiche sinanche in presenza di condotte reiterate in violazione della legge.Considerando la natura del reato e la personalità del reo nonché la criticabilissima scelta legislativa di imporre la detenzione agli autori (e non solo a loro come abbiamo visto) di articoli ritenuti diffamatori. L’esercizio del Giudice nel riconoscere le attenuanti generiche è del tutto discrezionale: non riconoscendo le attenuanti dovesse condannare l’autore della diffamazione o il direttore responsabile , la pena non potrebbe essere che il carcere per giunta congiuntamente alla multa, ferma restando comunque la possibilità del giudicante, nell’ambito dei suoi già detti poteri discrezionali di applicare comunque la pena detentiva anziché quella ecuniaria.

Questa è la situazione in cui è venuto a trovarsi Sallusti nella vicenda di cui si occupano le cronache e la politica, giusto viatico per imporre una riflessione sulla giustezza di norme che collidono col senso di giustizia e con la stessa diversa sensibilità giuridica nei confronti delle norme ispirate ad ideologie passate. E’ gravemente sbagliato, giuridicamente parlando, l’applicazione dell’aggravante al direttore responsabile in quanto l’omesso controllo ex art. 57 cp è da ritenersi ipotesi autonoma rispetto l’aggravante che è invece tipica del reato di diffamazione di cui risponde l’autore e non il direttore responsabile. La legge prevede (art. 656 quinto comma del Codice di procedura penale) che , per le condanne fino a tre anni, il Pubblico Ministero sospende l’esecuzione per trenta giorni ed il condannato in questi termini chiederà che gli atti vengano trasmessi al Tribunale di Sorveglianza che valuterà se il condannato è meritevole di fruire della detta misura alternativa. La Legge Cirielli, che mentre abbatteva drasticamente i termini di prescrizione del reato, con il non dichiarato scopo di evitare processi e condanne per taluni imputati eccellenti, nello stesso tempo interveniva sull’impianto normativo in tema di misure alternative alla detenzione, vietando, la sospensione per trenta giorni della esecuzione della sentenza.

Diego Cimara

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