Intervista a Ruggero Bagialemani, leggenda del baseball italiano

Ruggero BagialemaniRuggero Bagialemani, classe 1963, è una vera e propria leggenda del baseball italiano. In oltre vent’anni da giocatore ha vinto quattro scudetti e due Coppe dei Campioni con la casacca del Nettuno, sua città, dove è considerato un simbolo, una specie di “sindaco ad honorem”. Con la maglia della nazionale italiana è stato quattro volte campione d’Europa, partecipando a tre Olimpiadi (Los Angeles 1984, Barcellona 1992 e Atlanta 1996) e sette Mondiali. Nel 2014 la sua maglia numero 20 è stata meritatamente ritirata, nella migliore tradizione a stelle e strisce.

Come ti sei avvicinato al baseball?

Bagialemani. Nettuno è la città del baseball, i ragazzini durante l’inverno giocano a calico e d’estate a baseball, nelle strade, nei prati; è così da sempre. Giocare in prima squadra è il sogno di ogni bambino di Nettuno e lo era anche il mio, anche se ho iniziato col calcio nel quale ero bravo. A Nettuno ogni quartiere aveva una squadra di baseball ed io essendo di Cretarossa, una zona in riva al mare, iniziai a giocare nei Black Angels, la squadra della mia parrocchia, San Rocco.

Qual è stato il tuo primo punto di riferimento?

Bagialemani. Sicuramente mio padre, il quale era un grande appassionato di sport, ex pugile e calciatore dilettante. Ma tutta la mia famiglia era sportiva, persino mia nonna, grandissima tifosa della Lazio; ricordo con tenerezza il giorno in cui morì teneva sul petto la radiolina, erano i Mondiali del 1982, e stava ascoltando la radiocronaca di Italia-Polonia …
Da ragazzo seguivi il campionato di baseball americano? Avevi dei giocatori preferiti?

Bagialemani. Arrivavano pochissime immagini, trasmesse dalla RAI. Io avevo notizie delle Major League tramite i giocatori americani che venivano d’estate a giocare a Nettuno. Ricordo che il mio idolo era Pete Rose, colonna dei Big Red Machine, i Cincinnati Reds campioni nel 1975 e nel 1976. Rose detiene il maggior numero di battute valide della storia delle MLB con 4256.

Durante la tua lunga carriera hai avuto contatti con le Major League?

Bagialemani. Certo, sono stato firmato nel 1981 dai Baltimore Orioles. Ero stato notato ai Mondiali under 18 di Newark dove fui nominato miglior interbase del torneo con una media battuta di .600. Vincemmo persino contro una sezione giovanile degli stessi Orioles. Ma in quei tempi gli USA consideravo dilettanti i giocatori che venivano dagli altri paesi e dunque non potevano giocare in America. Avrei dovuto fare due anni due anni al college, l’università per essere eleggibile ed iniziai nel 1982, ma non feci i conti col servizio militare. Dopo quattro mesi dovetti tornare in patria per non essere considerato un disertore. Il treno ripassò due anni dopo, quando grazie a Bruno Beneck, pioniere del baseball in Italia e presidente della federazione, fui spedito a Cuba con i migliori prospetti giovani italiani in vista delle Olimpiadi di Los Angeles. Partimmo in 40 e arrivammo in 6. Fui così convocato con la squadra olimpica. Quell’inverno a Cuba fu fondamentale per la mia formazione. Ebbi modo di confrontarmi con giocatori fenomenali.

Parlaci di più di questo periodo a Cuba…

Bagialemani. Fu un periodo fantastico e da allora mantenni un rapporto e un feeling particolare con Cuba e i cubani. Orlando Hernandez, giocatore dei New York Yankees, ha dedicato a me la sua prima World Series vinta, nel 2000. Poi ebbi anche occasione di conoscere Fidel Castro in persona. Erano i Mondiali del 1984 e giocavamo contro Cuba allo Stadio Latino Americano a L’Avana, c’erano 70000 persone che gridavano “Fidel! Fidel! Fidel!”, tremava il campo da gioco, una grande emozione. Perdemmo 6-5 con quella fortissima squadra che poi si sarebbe laureata campione. Io ero molto giovane, mi rendevo conto che Fidel era un mito, la rivoluzione con il Che e tutto il resto e fu forte l’emozione di conoscerlo, di stringergli la mano dopo la partita. Divenni amico di suo figlio, Antonio Castro, medico della nazionale cubana. Fui anche invitato a cena da Castro, parlammo, scambiammo battute. Poi lo vidi nel 1987 e un’ultima volta negli anni novanta.

Il tuo palmares è sterminato. Ma qual è la vittoria che più ti è rimasta nel cuore?

Bagialemani. Devo dirtene due. La prima è lo scudetto del 1990, contro il Rimini. Il Nettuno non vinceva da 17 anni e veniva da una lunga crisi finanziaria. Vincemmo alle settima gara per 3-2. Il secondo fu il campionato europeo del 1991, il quale ci permise di qualificarci per le Olimpiadi di Barcellona. Battemmo i fortissimi olandesi cinque gare su cinque, la finale si disputò proprio a Nettuno davanti a 10000 spettatori in delirio! Una grande soddisfazione.

E la peggiore sconfitta?

Bagialemani. Anche qui ne devo menzionare due. Era il 1980, avevo diciassette anni ed era il mio primo anno da titolare. All’ultima giornata perdemmo 10-13 contro il Parma e lo scudetto svanì per un soffio. Poi ci fu la quinta gara di finale tra l’Italia e Olanda, la decisiva che qualificava alle Olimpiadi di Seul. Vincevamo 0-2 e cedemmo 3-2.

Altri rimpianti?

Bagialemani. Non ho rimpianti, anzi, sono molto fiero di aver giocato sempre con la mia squadra, nella mia città, tanto che nel 1991 rifiutai la proposta di Berlusconi di giocare nella sua Mediolanum Milano. Forse avrei vinto di più, ma al cuore non si comanda.

A Nettuno lo scudetto manca dal 2001. Cosa serve per tornare campioni?

Bagialemani. Servo io! (ride). Scherzo a parte, dipende da molti fattori. C’è stata una crisi finanziaria dopo la caduta dello sponsor Danesi che ci sostenuto per anni. Poi ci son state le fughe dei migliori giocatori, ma non sono da Nettuno, è tutto il movimento italiano, il campionato che si è indebolito. Per costruire una squadra valida occorrono almeno 500 000 euro …

Mi pare di intuire tanta amarezza …

Bagialemani. Infatti, è così … Il livello scende e ristagna anche per colpa della Federazione. Io sono da anni che propongo una ristrutturazione del campionato. Si giocano troppe poche partite per far crescere i nostri giovani e competere a livello internazionale. Spiace dirlo ma la differenza tra i giocatori italiani e quelli americani è enorme. Alex Liddi, che è il miglior giocatore italiano nelle Major League se n’è andato in America a quindici anni e ha fatto bene. Io propongo un campionato unificato tra A1 A2 B e C e dunque quattro gironi suddivisi con un criterio geografico. Si giocherebbero molte più partite, il livello si alzerebbe e ne beneficeremmo tutti. Questo è la mia onesta proposta e anche il mio personale augurio al baseball italiano.

Ignazio Gori

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