“Io e lei” di Maria Sole Tognazzi

io_lei-700x430Un prodotto confezionato non ha bisogno di esprimere null’altro di ciò che appare dalle immagini, né altrettanto occorre stare a riflettere su contenuti, più o meno reconditi. Ma non si deve confondere la semplicità con la superficialità; una regia limpida e pura è spesso prerogativa dei grandi autori, capaci di raccontare sentimenti profondi e intrigati in poche essenziali sequenze.

Ho iniziato con questo preambolo per introdurre e spiegare l’ultimo film di Maria Sole Tognazzi, IO E LEI, una commedia leggera, nel classico stile “sentimentale”, “a lieto fine”. Marina (Sabrina Ferilli), da sempre cosciente della propria omosessualità, ama Federica (Margherita Buy), alla sua prima relazione saffica. La prima è verace, spontanea, ironica; la seconda introversa, insicura, fragile, caratteristiche che sembrano aver seguito in maniera costante la carriera della Buy. Le due donne convivono, sullo sfondo di una Roma trasparente, come una coppia gay moderna, con al servizio un domestico filippino simpatico ed effeminato, in cui traspare la volontà della Tognazzi di citare il mitico Jacob, maggiordomo de IL VIZIETTO, un cult del 1978, tra i cavalli di battaglia del padre della regista, Ugo Tognazzi (citazione dovuta, diranno i più, ma forse a mio avviso un poco forzata.)

La storia è un po’ telefonata. Federica, bisessuale latente, incontra per caso una vecchia fiamma, un oculista affascinante, ed intraprende presto con lui una relazione dovuta più che altro all’attrazione fisica, all’evasione, che al sentimento. Marina e Federica si separano, prendendosi la classica pausa di riflessione. Ognuna soffre a modo suo, ma alla fine la “traditrice” sceglie la sua vecchia compagna giurandole amore eterno.
L’onda lesbica è sbarcata anche in Italia soprattutto dopo il roboante LA VITA DI ADELE – opera di tutt’altro spessore e fattura – ma il tentativo della Tognazzi di dipingere il quotidiano di due donne in carriera e soprattutto amanti, si è infranto contro la barriera di un pudore che a mio avviso svilisce il realismo che un film del genere dovrebbe avere.

L’aspetto più lieto sta tutto nella romana spontaneità della Ferilli. Debole e incolore l’interpretazione della Buy. Impalpabile la figura di Ennio Fantastichini (già sublime in PORTE APERTE di Gianni Amelio) nella parte dell’ex marito di Federica. Non un’opera negativa, piuttosto uno “step” di transizione verso qualcosa di più maturo.

Ignazio Gori

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