“Irrational man” di Woody Allen

irrational-man-538x768“Irrational man” è la tormentata vicenda di un uomo solo apparentemente irrazionale. Abe Lucas – interpretato da un Joaquin Phoenix appesantito e imbolsito – è un professore di filosofia attanagliato da una crisi esistenziale, che sembra essersi acuita dopo la morte del suo miglior amico, saltato su una mina antiuomo in Iraq. Trasferitosi in un college del New England, Abe conosce due donne con le quali inizierà delle relazioni; la prima è Rita, una collega ninfomane, stanca del marito (Parker Posey), la seconda è Jill, una fresca studentessa (Emma Stone) – la classica “Lolita” cresciutella di Allen. Il regista sceglie ancora una volta il triangolo come status dove far respirare e poi sopprimere l’animo di un Uomo Contemporaneo, eroe solo di se stesso, incompreso e affascinante, che oscilla tra genialità anarcoide e depressione cronica incurabile, nella geometrica visione diagnostica del regista newyorkese.
Le voci fuori campo – quelle di Abe e di Jill – raccontano la vicenda senza mai accavallarsi o intrecciarsi, come se parlassero da un futuro neutro. Il film è imperniato su concetti filosofici (vengono citati in maniera grossolana, in perfetto stile “Facebook”, Kant, Kirkegaard, Heidegger …) secondo i quali la verità non è sempre attendibile e il crimine (nel caso della vicenda, l’assassinio) potrebbe essere giustificato in forza di una “giustizia superiore”, capace di completare la vita di un uomo e dargli finalmente un senso. Allen infatti vorrebbe far credere che questo sia un film esistenzialista, quando invece sembra piuttosto un apologo sull’incontrollato e incontrollabile fatalismo che regola l’universo. Dunque ancora una volta Woody Allen contrappone – come nel più riuscito “Match point” (2005) – la valenza della vita di un uomo a un mondo indifferente, avulso alla giustizia, anch’essa regolata esclusivamente dal Caso. Come il protagonista del citato “Match point”, Abe Lucas è un uomo che si sente incompleto, bloccato, anestetizzato da una depressione sufficientemente grave e condizionante da ritenersi una vera e propria malattia, ma a differenza del tennista di “Match point”, il professore di “Irrational man” non è ipocrita e arrivista, ma soffre davvero per uno scopo più alto, forte di un trascorso di lotte per i diritti civili in mezzo mondo. Studiando in maniera ossessiva “Delitto e castigo” di Dostoevskij, Abe concretizza il concetto che se niente è “assolutamente” vero, tutto è concesso, ovvero, se la verità è relativa, non c’è alcuna ragione di vivere, a meno che non si faccia qualcosa di realmente concreto per rendere il mondo migliore, pur a livello infinitesimale. È a questo punto che la mente del protagonista si illumina, dopo aver casualmente ascoltato in un “diner” la conversazione di una donna disperata a causa di un giudice corrotto che presenzierà alla causa da lei intentata per la riassunzione dei propri figli. L’occasione è fornita dal Destino su un piatto d’argento: Abe Lucas ha modo di ideare il delitto perfetto (la salsa hitchcockiana è sempre in trasparenza in certe opere di Allen) per arrecare un bene concreto, non effimero come la speranza o i concetti filosofici che si tentano di inculcare agli studenti universitari. Uccidere dunque un uomo corrotto è un buon motivo per credersi vivi e orgogliosi. Jill, affascinata da Abe Lucas in quanto uomo romantico, colto e sensibile, non lo immaginerebbe mai capace di un simile reato, ma deve ricredersi, quando, tempo dopo, grazie ancora una volta a un Caso che non tralascia nulla, inizia a racimolare indizi della colpevolezza del suo amante. Ma se in “Match point” il Caso salva il colpevole, questa volta lo condanna, in un finale “beffa”, che accondiscende troppo a una morale telefonata, a mio parere superflua e falsamente ripartiva. Perché dico questo? Perché lo spettatore non si aspetterebbe una chiusura geometrica del racconto, ma diversamente una conseguenza imprevista, in questo caso “floppata” dal regista, ansioso di voler tagliar corto e far trionfare una giustizia suprema, tremendamente oggettiva.
“Irrational man” è un film di un buonissimo mestierante, che pecca di autocitazione e di mancanza di contenuti artistici (ma questi Allen li ha abbandonati da tempo), sostituiti con rimandi pseudo-esistenziali che danno il contentino ai seguaci più attenti e che a malapena soddisfano il grande pubblico.
(Ignazio Gori)

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