La cantante Ada Montellanico: “Che il jazz non tradisca mai la propria essenza!”

Ada MontellanicoAda Montellanico è una delle più apprezzate voci jazz del panorama italiano.

Come e quando si è avvicinata al canto e in particolare al jazz?
Fin da piccola mi divertivo con mio fratello in un giuoco di abilità musicale, si doveva tenere il tempo e indovinare le varie canzoni. Sono cresciuta con l’intento, forse inconscio, di diventare una cantante professionista. Al jazz invece mi sono avvicinata molto più tardi.

Qual è stato l’artista che le ha fatto scoccare la scintilla?
È stato con Coltrane che mi sono appassionata al jazz, grazie all’ascolto della sua reinterpretazione di My favorite things, canzone cantata da Julie Andrews nel film “Tutti insieme appassionatamente”. Un brano che con immenso piacere ho eseguito per Fahrenheit, il programma pomeridiano di RadioTre, il quale ha adottato il tema di My favorite things come sigla, in tutte le sue versioni esistenti.

Marsalis ha detto che il jazz può cambiarti la vita. Secondo lei?
Credo di sì, potrebbe contribuire a cambiarla… sicuramente il jazz ti porta a vivere le cose in maniera diversa. L’improvvisazione e l’incontro tra sconosciuti, caratteristica peculiare di questo stile, favorisce un rapporto umano immediato, una capacità di reazione, di sintonia con gli altri. In questo ti cambia decisamente la vita, ti permette di esprimere una socialità più calda, passionale, coinvolgente.

imagesCrede che la religione, così come la spiritualità, abbia un rapporto privilegiato col jazz rispetto ad altri generi?
No, non credo. Io sono atea, ritengo centrale e fondamentale la dimensione più interna e profonda dell’essere umano, che si esprime anche col canto, con la musica. Questa è la mia ricerca, artistica e soprattutto umana, nel cercare di fondere insieme queste due dimensioni, che è la cosa più difficile. L’essere religioso devia la nostra realtà più importante che è quella inconscia, irrazionale, artistica, e quindi annulla e nega qualsiasi ricerca più profonda sull’essere umano. Ognuno è libero di professare o meno una religione, ma penso che questo traspaia nella vita e nell’arte, in maniera spesso evidente.

Pensando ad esempio a Billie Holiday, da cantante jazz, crede che il dolore o la frustrazione siano elementi fondamentali per esprimere l’anima di un interprete?
Sicuramente sì. Ad esempio quando sono particolarmente triste il mio modo di cantare non cala di tono, ma si diversifica rispetto ad altri giorni. Per me ogni concerto è come una fotografia istantanea, in cui possono esserci dei bellissimi chiaroscuri, dovuti all’umore, alla particolarità unica di quel momento non più riproponibile.

Da che cosa attinge per esprimere la vera Ada Montellanico?
Io traggo tutto dalla mia parte più intima, irrazionale, cerco un “suono interno” che renda la mia espressione più vera e intensa possibile. Cerco l’emozione per me e per chi mi ascolta. La nostra identità e quindi anche la mia è costituita da varie sfaccettature e la ricerca è dare voce a queste diversità.

Molti ritengono il jazz un circuito chiuso. Lei, da fautrice dello sperimentalismo e delle commistioni fra generi, cosa ne pensa? Anche a livello discografico-commerciale?
Per me è sbagliato ritenere il jazz un circuito chiuso. Mai come ora (ma forse il jazz lo è sempre stato) questa musica abbraccia altri stili per creare qualcosa di nuovo. Nascono idee e progetti scaturiti dall’incontro con il rock, la musica classica, etnica o il cantautorato. Il jazz ha questa libertà che ti permette di vagare nella musica cercando altri suoni o colori. Non si può sempre suonare hard bop o ritenere che il jazz sia solo fatto da un unico stile, come pensano i “talebani del jazz”. L’importante è essere onesti e non fare di queste commistioni un fattore puramente commerciale, l’idea deve partire esclusivamente da una esigenza artistica. Io personalmente sono stata fortunata, non ho mai incontrato barriere alle mie proposte discografiche.

Lei ha dedicato un progetto a Luigi Tenco. Come è nato il suo interesse per questo artista?
Per caso, il cantautorato era qualcosa a me molto lontano… poi Philology mi chiese di fare un CD su di lui… è partito tutto da lì. Qualche anno dopo mi è stato chiesto di scrivere un libro, uscito poi per Stampa Alternativa “Quasi sera. Una storia di Tenco”. A tutt’oggi un grande successo di vendita, apprezzato dalla critica e dal pubblico. Mentre scrivevo ho avuto modo di conoscere la famiglia Tenco, con cui ho ancora uno splendido rapporto di amicizia, e in una occasione ho visitato la casa dove Tenco viveva, nella quale erano conservati alcuni scritti inediti, vere poesie rimaste nel cassetto. Ho avuto l’idea di musicarli. Non era mai successo che la famiglia concedesse questa possibilità, forse hanno percepito la mia onestà e lo scopo divulgativo, artistico, del mio gesto e quindi hanno acconsentito immediatamente e di questo vado particolarmente orgogliosa.

Rita Marcotulli, Maria Pia De Vito, Nicky Nicolai, Cinzia Tedesco … quale sente più vicina?
Beh, sicuramente la Marcotulli è la regina del jazz italiano, la più grande artista che abbiamo, insieme a Maria Pia De Vito, che stimo moltissimo per il suo pregiato lavoro sulla vocalità, molto diverso dal mio, ma di grande stimolo per me.

C’è una citazione in particolare che ha influenzato la sua carriera, la sua vita artistica?
Nel bellissimo libro di Filippo Bianchi ce n’è proprio una di Johnny Mandel riferita a una cantante che adoro, Anita O’day: “Il punto non sono le note o i fatti. Si tratta semmai di entrare dentro la canzone e farla vivere”.

Qual è stata la collaborazione che le ha lasciato di più, anche a livello umano?
Decisamente quella con Enrico Pieranunzi e anche con Jimmy Cobb.

Progetti futuri?
Ho concluso un progetto intitolato “Suono di donna”, un disco nel quale rielaboro brani di grandissime compositrici, da Carla Bley a Joni Mitchell, da Bijork a Maria Schneider e vorrei continuare a proporlo in giro. In un futuro immediato invece avrei un’idea di cui ti do una preziosa anticipazione. Si tratta di un progetto su Lee Konitz. Ho avuto l’onore di fare un Cd e vari concerti con lui e anni fa mi inviò alcuni suoi brani per dare vita a un repertorio esclusivamente di sue composizioni. In alcune dovrò scrivere dei testi, sicuramente in italiano. Un progetto davvero ambizioso, di quelli tosti, che fanno girare la testa.

Un suo augurio …?
Che il jazz non tradisca mai la propria essenza!

Ignazio Gori

Lascia un commento