L’Aquila oggi: tre anni dopo il terremoto. Una città che non c’è

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 Letti disfatti, serrande abbassate, lettere stropicciate, poster di cantanti sui muri, peluche per terra, sportelli aperti, piante secche sui balconi inagibili, panni stesi. Questo è quanto si riesce a vedere dagli scorci delle case distrutte dal terremoto di L’Aquila ben tre anni fa, il 6 aprile 2009, alle ore 3:32 di notte.

Camminare nella zona rossa della città è a dir poco inquietante. I passi riecheggiano per le vie, il silenzio riempie così tanto i polmoni da non riuscire a respirare, l’odore di muffa di quei palazzi, di quelle case che sono lo scrigno segreto della vita di ciascuno. Famiglie rovinate da un evento naturale, ricordi spezzati e vite frantumate. Una lacerazione interna anche per chi non l’ha vissuto il terremoto, ma che si ritrova a sfogliare le vite altrui sbirciando da una parete squarciata.

Un branco di cani randagi mi ha accolto in una piazza dove solo un bar era aperto. Ed aveva la musica fuori, quindi riecheggiavano le canzoni nel vuoto della piazza. Nella zona rossa si vedono macerie e impalcature, impalcature e macerie. Degli elmetti di protezione non bastano per salvaguardarsi dalle urla e dal dolore degli aquilani che sembra rimasto lì, guardiano di una città in decomposizione. E fa male pronunciare questa parola, decomposizione. In 3 anni ben poco è stato fatto ed i palazzi, le chiese antiche stanno marcendo. Ancora la metà della popolazione abita in prefabbricati e case di legno.

Mi guardano incuriositi e con occhio sinistro gli aquilani che incontro, fanno domande ma non rispondono alle mie. Proprio come se stessi deturpando il loro dolore, proprio come se fossi uno sciacallo dei loro ricordi. Ma non voglio esserlo, mi guardo intorno e taccio.

Negozi chiusi, impolverati. Le insegne cadono, le vetrine si scuriscono. E fa pensare anche un cane che rosicchia il cranio di un altro cane. I bicchieri usati e lasciati nel lavandino da tre anni, calendari immobili al mese di aprile 2009, gli orologi fermi alle 3.32, crepe nelle pareti, abitazioni ridotte a scheletro. Tutto è rimasto fermo nel centro.

Nella periferia si ricostruisce di più. Case nuove pitturate di colori accesi come il giallo, l’arancione, il verde ed il fucsia fanno pensare ad una reazione psicologica degli aquilani: dopo la polvere grigia che ha riempito i ricordi del loro passato, vogliono ricominciare a pulsare. Ed ecco che compaiono gru e cartelli “lavori in corso”, ma ce ne sono ancora troppo pochi.

Sara Stefanini

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