“L’attesa” di Piero Messina

l_attesaQuesto film parla della difficile metabolizzazione di un lutto, un dolore che sembra inestirpabile e che pervade la mente, il cuore, l’anima di tutti i personaggi coinvolti sentimentalmente col deceduto. Siamo in Sicilia, una Sicilia ovattata, dove il dolore è amplificato nella maniera peggiore: finestre e specchi oscurati, digiuni, veli neri, sguardi svianti … E’ morto un giovane, lo si capisce subito, e sua madre (una Juliette Binoche splendida, in grado di reggere un intero film con una emozionante espressività facciale) soffre in maniera spropositata, la perdita del figlio è intollerabile, uno sgarbo del destino, il voltafaccia di un dio ingiusto.

La recitazione della Binoche è volutamente scomposta, a rivelare l’ambigua natura narrativa del film, al quale non si possono applicare presupposti di categoria, infatti neanche il termine “drammatico” potrebbe andar bene per definirlo. E’ piuttosto un ibrido emozionale, ecco perchè pur non essendo sincero a se stesso è un film molto interessante, senza categoria. La caratteristica maggiore è l’uso di sequenze lunghe, con silenzi procrastinati, respiri, feticismi domestici, con una strepitosa fotografia di Francesco Di Giacomo, tanto da potermi quasi farmi dire che questo è un film ad intensità prettamente fotografica.

Ma cos’è questa “attesa” di cui parla il titolo?
E’ quella di Jeanne, ragazza del defunto Giuseppe, che arriva dalla Francia per trascorrere la Pasqua col suo amore e invece si ritrova a dover gestire un silenzio ingombrante, insopportabile. La madre del ragazzo infatti non riesce a dirle la verità e lei lo capirà solo alla fine, quando due occhi di lacrime valgono più di mille parole. Ma quasi per assurdo il film non fa perno sul dolore di un lutto, la seconda metà della pellicola infatti è più riuscita della prima, essa ci dice infatti che la poetica trainante è tutta sul ruolo ambivalente del “non detto”: spicca in questo senso lo strano rapporto che si instaura tra la madre del ragazzo e l’ospite, due donne che condividono l’amore per lo stesso ragazzo, sia pur diverso (ma è davvero diverso?). L’amore della madre è ambiguo ed egoista, quello della ragazza è rancoroso e sessuale.

L’ATTESA è comunque un film impetuoso, calmo come lo può essere l’acqua di un lago, ma profondo, talmente profondo da celare un oblio. Piero Messina, al suo primo lungometraggio, ha tutta l’aria di poter creare dei classici, se sarà in grado di isolare, in via poetica e viscerale – come ha saputo fare ne L’ATTESA – sentimenti eterni, ma appunto per questo turbolenti e incomprensibili. Ha saputo inoltre, e in modo secondo me originale, trarre spunto da LA STANZA DEL FIGLIO di Nanni Moretti, stando ben attento a non citarne nulla, perchè non c’è nulla di barocco o religioso nel film di Moretti, mentre in questo si avverte quasi un miracolo (forse del tutto umano) pronto a sbocciare da un momento all’altro.

Ignazio Gori

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