Florinda Bolkan è una delle attrici stracult degli anni Sessanta e Settanta. Vera e propria icona sexy per un’intera generazione, ha collezionato una serie di straordinarie interpretazioni in film come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, “Una breve vacanza” di Vittorio De Sica, “Metti una sera a cena” di Giuseppe Patroni Griffi.
E poi ancora “Le orme” di Luigi Bazzoni, “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci, “Una stagione all’inferno” di Nelo Risi, “Flavia la monaca musulmana” di Gianfranco Mingozzi, “Anonimo veneziano” e “Cari genitori” di Enrico Maria Salerno, “Un uomo da rispettare” di Michele Lupo e tanti altri. Ha ricevuto tre David di Donatello, due Grolle d’Oro e nel 1975 ha rivevuto il Los Angeles Film Critics Associaton Award per Miglior Attrice in “Una breve vacanza”.
Che cos’è per te il cinema?
Bolkan. Il cinema è un sogno, è la risposta a chi chiede di poter sognare, è la risposta al sublime …
Però tu non volevi fare l’attrice …
Bolkan. No, non ho mai pensato di poter recitare, ero una semplice ammiratrice del cinema, come molti … Poi, d’un tratto, è arrivato Damiano Damiani e mi ha stravolto la vita. Mi ha offerto una parte nel film “Una ragazza piuttosto complicata”, era il 1968, c’era anche Catherine Spaak. Damiani disse che si trattava di una particina, ed io non ci diedi molto peso, ma ebbi successo e da allora non mi sono più fermata.
Qual è stata la parte più difficile da interpretare?
Bolkan. Il ruolo più complicato che ho dovuto affrontare è stato senza dubbio quello di Augusta Terzi, nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Era un ruolo fuori dai miei soliti schemi e forse ho sofferto la pressione in un film così importante. Elio Petri era un regista davvero impegnativo ed esigente, e poi era il mio primo ruolo da vera antagonista.
Com’era Gian Maria Volontè? Dicono sia stato un uomo molto rigido e complicato …
Bolkan. Gian Maria si dimostrava adorabile, ma solo se era d’accordo con te, altrimenti diventava difficile confrontarsi con lui … (ride). Scherzi a parte, era un grande professionista, probabilmente tra i più grandi attori di sempre.
E quale invece il ruolo che ti rende più orgogliosa?
Bolkan. “Una breve vacanza”. Un film da protagonista, una storia semplice e commovente sull’imprevedibilità della vita, una storia nella quale si possono identificare molte persone. È questa la magia del film e poi Vittorio De Sica ti vedeva dentro, attraverso. Riusciva a trasferire i suoi sogni nei personaggi. Film come “Una breve vacanza” sono dei piccoli miracoli.
Qual è il più grande insegnamento che ti ha dato un maestro come De Sica?
Bolkan. De Sica era un mago, non imponeva nulla, ti cuciva il personaggio addosso, ti lasciava libero, spontaneo. Lui non voleva dei robot, voleva l’anima, l’espressione più pura dell’anima. Io credo che questa è la prerogativa dei grandissimi.
Hai ricevuto molti premi e hai recitato per registi leggendari, ma hai dei rimpianti o sogni nel cassetto irrealizzati?
Bolkan. Tutti hanno un sogno nel cassetto irrealizzato e anche gli attori hanno dentro un personaggio che non viene mai fuori. Per quanto mi riguarda c’è stato un momento in cui sentivo di poter esprimere altro … E’ come se ti rimanesse un vuoto dentro … però non saprei decifrare questa mancanza, questo vuoto, avverto solo che c’è.
In una intervista che mi ha rilasciato, Renzo Rossellini ha osservato che non è finito il cinema d’autore, bensì il pubblico del cinema d’autore. Sei d’accordo?
Bolkan. Sì, sono d’accordo. In un certo senso potrei dire che gli attori della mia generazione erano pedine nelle mani di grandi maestri; ora invece mi sembra che ci sia stata una trasformazione che ha portato gli attori, spesso mediocri, a tenere in scacco i registi. Non vedo più la presenza di quei maestri che hanno fatto la storia del cinema.
Mi sembra di capire che non apprezzi molto il cinema contemporaneo …
Bolkan. A questa domanda risponderei volentieri con dei puntini di sospensione … … (ride). Comunque, polemiche a parte, quando voglio vedere il vero cinema, vado a rivedermi i grandi film del passato, Rossellini, Petri, De Sica … Penso che con questo ho detto tutto.
Qual è il tuo personalissimo augurio al cinema italiano?
Bolkan. Vorrei che il cinema italiano contemporaneo non avesse paura, che fosse più coraggioso, vorrei insomma che osasse di più … Il cinema ha bisogno di opere che spaccano, che fanno discutere, riflettere … non questi “filmettini della domenica”. Dico questo perchè il cinema deve essere e rimanere un sogno, non un surrogato di qualche altra cosa.
Ora gestisci un agriturismo presso Bracciano, ma guardando al passato e strizzando l’occhio al futuro, chi è ora Florinda Bolkan?
Bolkan. Una donna coraggiosa! Lo sono sempre stata, d’altronde per una ragazza che viene da un posto sperduto del Brasile che si chiama Uruburetama, che giovanissima si è fatta strada prima a Rio e poi in un paese straniero, il coraggio è fondamentale. E poi sono orgogliosa, orgogliosa di mio padre, Soares Bolcao, un grande poeta; ultimamente mi tornano le sue poesie alla memoria, parole indelebili, meravigliose, è come se lui mi parlasse da lontano (recita):
“Amor que despedaça e que devora,
Que as próprias carnes, rindo, dilacera,
Amor que tem os ímpetos de fera,
E a covardia que se humilha e chora;
Amor que aceita o vil desprezo, e, embora,
Desprezado jamais se desespera,
Que vive só dessa fatal quimera,
E na própria desgraça se avigora;
Amor que sofre o escárnio perdoando,
Orgulhoso de todas as misérias,
De todas as vergonhas triunfando,
Amor, enfim, que só de amar se ufana,
Véneno n ‘alma, incêndio nas artérias,
É a excelsa glória da fraqueza humana!”
Qual è il sentimento più importante per te?
Bolkan. L’amore, una forza pazzesca che ti colpisce dentro. Lo stesso amor di cui scrive mio padre, che “frantuma e che divora”.
Ignazio Gori