“Miss Violence” del greco Alexandros Avranas è uno di quei film che meriterebbero a mio avviso una distribuzione più ampia. A Venezia comunque si è imposto vincendo il Leone d’Argento e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile di Themis Panou, intorno al quale ruota l’intera vicenda, quella di una famiglia molto particolare, con lo stesso Panou nel ruolo di un glaciale padre-padrone, sfruttatore per necessità e sadismo di un gruppo di donne e bambini: sua moglie, sua figlia, e i figli di sua figlia, avuti da padri ignoti, frutti di prostituzioni reiterate e ben nascoste.
Il film si apre con uno shock immediato. Durante una festicciola di compleanno, la festeggiata Angheliki, undici anni, approfittando della distrazione di suo nonno e sua madre, si suicida gettandosi dal balcone di casa, dopo aver mostrato allo spettatore un timido sorriso, molto eloquente. Sembrerebbe dunque un film sulla tormentosa elaborazione di un lutto e della sua spiegazione. Avranas invece ci regala un capolavoro di angoscia e tensione, dipanando la descrizione di un ambiente famigliare come un piccolo “lager”, una costruzione, o meglio una decostruzione, ermetica, della tremenda sudditanza dei componenti della famiglia a un padre-sfruttatore. Ma quello che colpisce e shocka non è ciò che avviene e che si intuisce di rimando, ma l’attenzione, paradossalmente quasi moralistica, di questo padre premuroso, che tiene all’educazione scolastica, alla compostezza a tavola, alla pulizia rigorosa della casa, ai conti della spesa. Ho avuto l’impressione infatti che Miss Violence sia un film sulla crisi economica – siamo infatti nella Grecia post crack – e sulla famiglia, e non un film sulla violenza, cui ambiguamente il titolo rimanda. La splendida regia taglia a fette l’intimità domestica, apparentemente normale, a tratti quasi noiosa, ma a un secondo sguardo del tutto densa di formalità educativa, di gioia apparente, come a imporre una normalità disarmante.
La tensione cresce con l’avanzare delle immagini, fino ad una scena di sesso esplicito, davvero rara per crudezza ed intensità, che vede protagonista la figlia più grande, Eleni (Eleni Roussinou), bellissima e bravissima giovane attrice, la quale sembra rivivere i soprusi della compianta Angheliki, soprusi finalmente individuati come causa del suicido liberatore. Gli ambienti di questo film sono come contenitori sottovuoto, descritti da immagini limpide e cariche di una granitica pesantezza, scenari di una “Sodoma” moderna, che Avranas paragona alla sua Atene, di cui si scorgono poche strade, il golfo del Pireo, e un umido garage, teatro vaginale, dove il capofamiglia conduce Eleni a prostituirsi. Poi c’è anche Myrto (Sissy Toumasi), sorella minore di Eleni, la quale sul finale si vedrà protagonista di una deflorazione eloquente, un chiaro episodio di pedofilia che incorona il film di un coraggioso scandalo appagante. E infine c’è la moglie dell’aguzzino, anch’essa ex prostituta, (Rena Pittaki) che osserva silenziosa, quasi impermeabile alle violenze famigliari, fino al magnifico finale: l’assassinio del Capofamiglia, la sua cruda evirazione e la liberazione accolta con un sorriso che fa immaginare dell’altro. Ma ciò che lascia sconcertati è l’intenzione finale del regista, il quale fa emergere un significato nascosto e allo stesso tempo parallelo al “lieto fine”, qui consistente nella morte del “cattivo”; Rena infatti non lo uccide per vendetta bensì per prendere il suo posto.
Miss Violence è un film di una violenza poetica, con dialoghi scarni e indispensabili, silenzi, sguardi e sospiri, una pellicola da cui emerge una perversione assolutamente in voga con i tempi e che oltre le immagini non riesce a sconvolgere del tutto, perchè questa violenza che si vorrebbe mitizzare, è già stata troppo assimilata dalla società, come l’umiliazione dei minori, il suicidio come risoluzione del dolore, o la crisi economica che porta a comportamenti inumani. Quella descritta da Avranas è dunque una violenza veicolo, un mezzo per giustificare obblighi e non scelte. Ma nonostante questo non riesco ad allontanare il pensiero che questo sia un film vagamente “pop”, lo dimostra ad esempio il brano di Toto Cutugno “L’italiano vero” a descrivere una esterofilia di rimedio, falsamente conciliante, squallida e minimalista, ma di grande effetto. Forse Miss Violence è semplicemente un film d’amore, dove la libertà rende lo stesso vittima, al pari della costrizione. Non un film per tutti, ma un capolavoro che dà fiducia al cinema europeo. Avrebbe meritato il Leone d’Oro.
Ignazio Gori