Ninetto Davoli, da falegname a attore con Totò, ecco la storia del preferito da Pasolini

NinettoDavoliRaggiungo Ninetto Davoli al bar Meo Pinelli, storico ritrovo degli artisti di Cinecittà. Stava sfogliando il giornale e appena mi vede mi accoglie calorosamente. Parla a voce alta. Ha una esuberanza e una positività contagiosa. I capelli tutti bianchi contrastano con un sorriso da ragazzino.

1-DOPO IL CAMEO NE “IL VANGELO SECONDO MATTEO”, IL SUO DEBUTTO SI REALIZZA CON TOTO’ IN “UCCELLACCI UCCELLINI” SEMPRE DI PIER PAOLO PASOLINI. COSA RICORDA DI PIU’ E COSA HA CERCATO DI APPRENDERE DELLA IMMENSA COMICITA’ DI TOTO’?
«Nel “Vangelo” facevo la parte di un pastorello, poi è venuta totalmente inaspettata la proposta di recitare al fianco di Totò, che io avevo visto solo al cinema. All’inizio ero dubbioso, imbarazzato. Il mio lavoro era quello del lucidatore di mobili, del falegname, e non mi vedevo assolutamente nelle vesti di attore. Ma Pasolini ha insistito molto e alla fine mi ha convinto. Io non potevo credere, nella mia ingenuità, che venivo pagato per recitare con Totò. Alla fine fu una esperienza meravigliosa. Totò mi aiutò molto, in quanto anche lui veniva come me dalla povertà, lui dai quartieri scalcinati di Napoli, io dalle borgata romana, ma ideologicamente la pensavamo uguale. Il nostro fu uno scambio di semplicità, una vera complicità».

2-ANCHE DOPO L’ESPERIENZA CINEMATOGRAFICA CON PASOLINI, HA CONTINUATO A IMPORRE UNA SUA “COMICITA’”, E’ MATURATA IN CHE PROPORZIONI?
«Come ho detto io non mi sentivo un attore, e stranamente non mi ci sento nemmeno ora. Considero dunque la mia non una comicità, nel senso dell’abilità professionale di far ridere, bensì una smania gioiosa di voler raccontare, di esprimere semplicemente la mia gioia di vivere, la mia gratitudine, quella di essere nato e di aver conosciuto persone straordinarie. Sono sempre stato “Ninetto”, in ogni film».

3-A CHI DEVE DI PIU’ TRA I COMICI CARATTERISTI ROMANI?
«Io non mi sono mai sentito come loro o uno di loro, fra quei caratteristi ce n’erano di straordinari. Io sono semplicemente io e poi il mondo di Ennio Antonelli o Toni Ucci non c’è più. Loro esprimevano la loro “verità” semplicemente essendo loro stessi, e questo l’ho sempre fatto anch’io. Ma ormai siamo usciti da quel periodo, e non c’è più quel tipo di “sensibilità” artistica, dove la semplicità del popolo poteva essere trasposta al cinema».

4-SI E’ SEMPRE TROVATO A SUO AGIO IN RUOLI DRAMMATICI? IN QUALI HA TROVATO PIU’ DIFFICOLTA’?
«Più che parlare di difficoltà potrei ricordare un fatto emblematico, che ha conciso con una presa di coscienza riguardo la consapevolezza di poter recitare ruoli diversi. Questo copione era “Romanzo musicale”, un progetto teatrale scritto da Vincenzo Cerami, con le musiche di Nicola Piovani e le scenografie di Milo Manara. Dopo aver letto il testo rimasi perplesso riguardo il linguaggio, ridondante e totalmente lontano dai miei abituali toni di recitazione. A quel punto mi bloccai, mettendo in dubbio il mio ruolo, il mio stesso lavoro, e mi sono insultato da solo: “Ninetto, se non riesci a imparare questa parte sei uno stronzo, non un attore, solo uno stronzo!” Guardando dunque il lavoro sotto un ottica diversa, mi impegnai di buona volontà e in un mese e quindici giorni imparai il testo, cosicché il progetto andò in porto con successo. Questo per dire che a volte devi interpretare il contrario di quello che sei, mantenendo la tua essenza, la tua dignità, ovvero interpretando. Questo per me vuol dire recitare. Se la vogliamo chiamare così quella di “Romanzo musicale” è stata una specie di svolta della mia carriera».

5-SI E’ DEDICATO ANCHE MOLTO AL TEATRO. SI RITIENE PIU’ UN ATTORE DI TEATRO O DI CINEMA?
«Io ho iniziato a fare teatro con un grandissimo come Carmelo Bene, in uno spettacolo del ’68, “Arden of Feversham”, nel quale c’era anche mio padre. Come per il cinema, anche per il teatro fu Pasolini a convincermi, sgretolando la mia resistenza di timidezza. Bene era un personaggio estremo e affascinante, anche se io all’epoca mi distanziavo da alcune sue plateali esternazioni. In sostanza, più insultava e sconvolgeva piu’ il pubblico lo seguiva e idolatrava. Recitammo anche insieme nel film “Edipo Re”. Poi ho lavorato anche con un altro grande come Luca Ronconi, fino all’ultimo spettacolo itinerante, “L’albergo rosso”, un grande successo popolare, nel quale emerge la mia vera e intima passione del cantastorie, ovvero la mia indole del tutto “romanesca” del raccontare. Ecco, forse il teatro offre, a mio avviso, una maggiore intimità con il pubblico che incita il gusto tradizionale del racconto. Il cinema è diverso, è un arte più meccanica».

6-NEL 2013 COSA VUOL DIRE PER LEI FARE L’ATTORE?
«Dopo il film “Uno su due” di Eugenio Cappuccio, con Fabio Volo, per il quale mi hanno dato il Premio Lara alla Festa del Cinema di Roma del 2006, la mia carriera ha subito un ulteriore sconvolgimento. Ho iniziato a scegliere solo i ruoli che mi piacevano, anche diversi da quelli che storicamente ho interpretato, come quello in “Romanzo criminale”, altro grande successo. Insomma, rispetto ai decenni passati, soprattutto agli anni Settanta, dove dovevo accettare parti minori come quella in “La liceale seduce i professori”con Lino Banfi e Alvaro Vitali, per onorare gli impegni presi, ora scelgo prima il ruolo e metto da parte l’aspetto remunerativo. Ma a parte questo, sono e rimarrò sempre “Ninetto”».

Dopo l’intervista mi mostra le numerose foto del bar Meo Pinelli che lo ritraggono nei vari film interpretati. Poi usciamo, ancora quattro chiacchiere, tra i mille aneddoti della sua carriera. Rievoca Carmelo Bene, alcol e genio; il compianto Pierre Clementi, sotto l’effetto dell’Estasy sul set di “Porcile”; ancora Pasolini e di quella volta che per far piangere sua madre nel “Vangelo secondo Matteo” le ricordò della morte di suo figlio, fucilato dai partigiani istriani, e sempre a proposito del Vangelo, di Enrique Irazoqui, il “Cristo catalano”, ora campione internazionale di scacchi, il quale anche lui all’inizio, da militante di sinistra, dubitava del ruolo affidatogli da Pasolini, ma tutto si risolse.

Ignazio Gori

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