“Nuda e cruda” di Anna Mazzamauro al Piccolo Eliseo di Roma

"Nuda e cruda" di Anna MazzamauroAnna Mazzamauro ha da anni abituato il pubblico italiano ad esilaranti caricature cinematografiche e ad altrettanto brillanti performance teatrali. Non fa eccezione, ed è forse, a mio avviso, una sorta di summa condensata del suo arsenale artistico-umano, “Nuda e Cruda”, uno spettacolo andato in scena al Piccolo Eliseo di Roma, dal 16 al 19 Gennaio, per la regia di Livio Galassi; uno spettacolo che spero possa essere riproposto a breve per il pubblico nazionale.

L’omonima trasposizione letteraria del testo è stata da poco edita dalla Diamond Editrice di Latina, e dal giovane editore Simone Di Matteo, che ha voluto pubblicare il testo, rendendo fede al filone della sensibilità sociale che da sempre contraddistingue le pubblicazioni Diamond. “Nuda e Cruda” (di Anna Mazzamauro, Diamond, pp. 81, Euro 12,oo – con foto di scena di Pino Miraglia e una intervista all’autrice di Simone Di Matteo) è un piccolo libro-palcoscenico dove trovano spazio miscelate e cadenzate, al ritmo di uno stornello o di un tango straziante, tabù, pregiudizi e superstizioni del mondo d’oggi.

Una Mazzamauro camaleontica assume gli abiti di vari grotteschi personaggi, a loro volta maschere di se stessi, e con battute e sarcasmi (“Io nel teatro trabocco con le mie bugie, bugie di una forza incredibile, ancora più forte della verità!”), sberleffa a suo modo i luoghi comuni e soprattutto il comune senso del pudore che tengono prigionieri di pregiudizi razzisti e sessuali. Un improvviso buio di scena è il pretesto per parlare dei “negri”. “Un uomo o quel che si dice” di Aznavour è il leitmotiv per poter infierire contro chi pregiudica il mondo gay. Ma trovano brillantemente spazio anche feroci invettive contro l’abbruttimento della vecchiaia (“Guai a chi ride dei vecchi che si baciano!”) o il dolore di un lutto prostrato alla mercè della spietata pubblicità mediatica.

Il testo è intarsiato da pezzi musicali del bravissimo Amedeo Minghi e da altri adattamenti, più o meno parodiati, a seconda del caso, dalla stessa Mazzamauro, come “Parlami d’amore Mariù” o del tema tratto da “La Bella e la Bestia”, una colonna sonora che addolcisce e scandisce la feroce ironia e soprattutto l’autoironia dell’autrice, su una bellezza-bruttezza, oggettiva o soggettiva, già mitizzata dalla fortunatissima serie “fantozziana”.

In definitiva, Anna Mazzamauro ha saputo attingere da una esistenza artistica fertile d’ispirazione, per mettersi a nudo, “nuda e cruda”, anche dei suoi giudizi sociali. Una operazione, letteraria e interpretativa, che fa da ponte, nella migliore tradizione romana, tra l’irriverenza di Gabriella Ferri e la crudezza di Anna Magnani. La voce di Anna Mazzamauro, tutt’una col palcoscenico che la sorregge, ha l’effetto intimo e rassicurante di una vicina di casa, e l’aspra invettiva di un’acuta e inaspettata inquisitrice.

Ignazio Gori

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