Previsioni Ocse: peggiora pil taliano, -1% nel 2013
Consolidamento fiscale al 3%, calo domanda interna

Monti ha impoverito il Paese, ma non ha risolto nulla. E’ la sintesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Peggiorano le previsioni dell’Ocse sul Pil dell’Italia. Secondo il nuovo outlook, l’economia del nostro Paese nel 2013 calerà dell’1%, contro la flessione dello 0,4% stimata. Sul fronte lavoro il tasso di disoccupazione in Italia, stimato al 10,6% nel 2012, è destinato a salire all’11,4 nel 2013 e all’11,8 nel 2014.

Per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico le misure di austerità varate dal governo Monti hanno causato il maggior calo dei consumi registrato in Italia dal secondo conflitto mondiale. “Il consolidamento fiscale, pari quest’anno a quasi il 3%, ha indebolito la domanda interna, e i consumi privati sono scesi al tasso maggiore dalla Seconda Guerra Mondiale”, ha affermato l’Ocse che ha stimato in un rapporto deficit/Pil al 2,9% nel 2013, l’Italia potrebbe avere bisogno di una nuova stretta fiscale nel 2014 per rispettare l’obiettivo di una riduzione del debito al 119,9% del Pil nel 2015. Se oggi è pioggia domani è tsunami.

Queste sono le tasse dello stato, ma quelle che fanno ancora più paura e che incidono anche quando non ce ne accorgiamo sono le tasse locali. Sono Regioni, Comuni e Province che drenano risorse dalle tasche dei contribuenti italiani: negli ultimi quindici anni, il prelievo operato dagli enti locali è volato del 114,4%, hanno calcolato gli analisti della Cgia di Mestre. E soprattutto, di tutto questo prelievo non si poi visto nessun beneficio nei servizi per i cittadini. Come e dove è passato questo raddoppio? Irap, addizionali Irpef, bollo auto,  Imu, e tutta la pletora di tributi (sono una quindicina quelli principali considerati dalla Cgia) chiesti da enti consortili e simili sono costati agli italiani nel 2012 ben 102 miliardi di euro; una crescita del 114% appunto rispetto ai 47,6 miliardi che gli enti locali avevano incassato nel lontano 1996. Costi che gravano sul bilancio familiare per oltre 1000 euro a nucleo familiare.

Per quanto riguarda l’Irpef diversi i rincari nelle città di Italia, a Palermo, per esempio, è passata dallo 0,5 allo 0,8%; a Chieti dallo 0,7 allo 0,8%; a Brescia dallo 0,2 allo 0,5%; a Viterbo dallo 0,4 allo 0,5%, mentre Roma ha riconfermato l’aliquota più alta d’Italia, dello 0,9%. Dagli ultimi dati resi noti dal Dipartimento delle Finanze emerge una curiosità e cioè che dal 2006 a nobvembre  2012, a causa degli aumenti Ipref, i contribuenti sono fuggiti dalle grandi città.
A Milano, per esempio, il numero complessivo dei contribuenti scende dai 792mila del  2008 ai 778mila del 2010 (con un imponibile totale tutto sommato stabile nel triennio, attorno  ai 27 miliardi e 800 milioni); a Torino, poi, si è passati a 517mila unità del 2010 rispetto alle 534mila del 2008 (con imponibile totale abbastanza stabile, attorno ai 13 miliardi e 600  milioni), mentre a Roma il dato scende nel triennio sotto la soglia del milione e mezzo (1.499.561 contribuenti del 2010, 1.506.154 nell’anno di imposta 2008).

Secondo la Cgia di Mestre, l’associazione veneta che raggruppa gli artigiani e le piccole imprese, il gettito fiscale delle principali tasse locali che saranno pagate dalle famiglie italiane sarà di ben trentacinque miliardi di euro. Il motivo per cui tutti questi tributi sono così incisivi sui nostri portafogli è perché dallo Stato, attraverso la riscossione di tali tributi, ci si aspetta di mettere nelle casse quanto più denaro possibile, cosa che probabilmente sfumerà, considerando che gli italiani si pagheranno le tasse ma lo faranno fino a quando sarà possibile e qualcuno non ce la fa già più, per cui il gettito fiscale rischia anche di diminuire.
Nel 2013, sempre secondo le analisi della Cgia, la situazione è destinata purtroppo a peggiorare. Una situazione determinata anche dai continui tagli ai trasferimenti statali subiti dalle amministrazioni locali, che hanno costretto Regioni, Comuni e Province a cercare altri soldi ancora nelle tasche dei cittadini.

L’aumento delle tasse locali è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni ’90. L’introduzione di Ici, Irap e addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze trasferite alle Autonomie locali.
L’amministrazione centrale ha aumentato le entrate soltanto del 9% in 15 anni. Se nel 1996 il gettito era di 320,9 miliardi, nel 2012 l’Erario ha incassato  349,9 miliardi di euro, mentre il Pil nazionale è cresciuto in questo stesso periodo del 15,4% e ogni italiano ha versato nelle casse delle Autonomie locali 1.684 euro. La situazione è destinata a peggiorare. Con l’introduzione dell’imposta municipale sulla prima casa e l’aumento registrato dalle addizionali Irpef regionali e comunali, nel 2013 le entrate in capo alle Autonomie locali subiranno un’ ulteriore impennata.

Per invertire la rotta si deve attuare il federalismo fiscale. Solo così saremo in grado di abbassare il carico fiscale sia al centro sia in periferia, grazie ad una maggiore responsabilizzazione dei governatori e dei sindaci. Per  il suo definitivo compimento, purtroppo, mancano ancora da definire due tasselli importanti: i costi standard nella sanità e quelli degli Enti locali. Due misure di cui il governo dovrebbe accelerare la realizzazione per dare il via definitivo ad una vera rivoluzione che riscriverebbe i rapporti tra il fisco ed i contribuenti. In sintesi, se oggi è pioggia domani potrebbe essere tempesta.

Diego Cimara

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