Kaleidoscopia.it ha contattato il regista Luca Manfredi, in occasione dell’uscita del suo ultimo film biografico Permette? Alberto Sordi, in sala dal 24 al 26 Marzo e poi trasmesso in Rai il 21 Aprile.
Quali sono gli aspetti del Sordi-uomo, privato, che più ti hanno permesso di tracciare il personaggio interpretato magnificamente da Edoardo Pesce nel tuo film?
La nostra scelta è stata quella di rappresentare per la prima volta il Sordi giovane, inedito, non il grande e poliedrico attore che il pubblico conosce. E questa scelta ha comportato anche di rappresentare tutte le difficoltà iniziali che questo artista ha dovuto scavalcare, professionali e private.
Che periodo della vita di Sordi avete dunque deciso di descrivere?
Abbiamo scelto il ventennio determinante per la sua carriera, che va dal 1937, quando fu cacciato dall’Accademia Filodrammatica di Milano, fino al 1957, ovvero appena l’immediato successo di Un americano a Roma di Steno, che l’ha definitivamente consacrato nel panorama dei migliori attori.
Che rapporto aveva tuo padre, Nino Manfredi, altro mostro sacro del cinema italiano, con Alberto Sordi?
C’era sicuramente una sincera e grande stima reciproca, umana e professionale, stima che li ha portati anche a collaborare. A tal proposito sono stato invitato alla villa di Alberto Sordi, a Caracalla – villa che sarà aperta al pubblico dal 7 Marzo – per la proiezione della versione restaurata di “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico misteriosamente scomparso in Africa?”, una perla di Ettore Scola, dove mio padre e Sordi si spalleggiavano in un duello tra fuoriclasse.
Negli ultimi tempi mi sto occupando con varie iniziative editoriali al revival della coppia comica Laurel & Hardy e a tal proposito Sordi fu il primo doppiatore italiano di Hardy. Ne hai tenuto conto nel tuo film?
Assolutamente sì! Il doppiaggio di Oliver Hardy, divenuto iconico, ha lanciato Sordi anche nella carriera di doppiatore, rivelando un altro lato geniale della sua sfera artistica, per nulla avara di sorprese. Sordi vinse il concorso indotto dalla MGM per il doppiaggio di Hardy e iniziò la leggenda.
A proposito, vista la tua passione per il film o fiction biografico – ricordiamo anche “In arte Nino” dedicato al giovane Nino Manfredi interpretato dal bravissimo Elio Germano, ultimo superbo Ligabue – ti è piaciuto il biopic di Jon Baird su Laurel & Hardy?
Mi hai anticipato! L’ho apprezzato moltissimo, non solo per la straordinaria bravura dei due interpreti, Steve Coogan e John C. Reilly, ma perché il regista ha usato la chiave giusta per mostrare questi due immensi artisti al termine della carriera, e con questo ha potuto mostrare prima di tutto il loro privato, fragile e forte che fosse, a sostegno della loro grandezza di attori. Questa secondo me è la chiave di raccordo giusta per raccontare grandi personaggi ed è quello che cercato di fare anche io, anche se partendo dalla giovinezza, con Manfredi e Sordi.
Da cosa traspare dall’ immagine del giovane Alberto Sordi?
Un uomo determinato, capace di intrattenere una relazione con una donna più grande di lui di ben 15 anni – una cosa certo non comune a quei tempi – parlo di Andreina Pagnani (interpretata nel film da Pia Lanciotti), forse il suo più grande amore. E poi la grande amicizia con Aldo Fabrizi, che lui considerava il suo mito assoluto (chi ricorda lo splendido Il delitto di Giovanni Episcopo? con un giovanissimo Sordi e un immenso Fabrizi nei panni dello sfortunato personaggio creato da D’Annunzio?). E ancora l’amicizia con il giovane ed estroso Federico Fellini, con il quale girerà Lo sceicco bianco, Corrado che lo introdurrà nel mondo della radio e l’amore che per tutta la vita lo legherà alle due sorelle che lo hanno accudito, alla madre adorata … Insomma, un grande ritratto di un uomo nel complesso non semplice, estremamente riservato, ma pulsante di passione.
Quali sono i tuoi film di Sordi preferiti?
Sicuramente i ruoli drammatici: Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy, Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, Una vita difficile di Dino Risi … e tra i comici il film citato sopra, quello di Scola con un titolo alla Lina Wertmuller, divertentissimo e brillante, dove c’era anche un ottimo Bernard Blier, che con Sordi si trovava bene.
Qual è secondo te l’eredità più “scomoda” che Sordi ci ha lasciato?
Scomoda non saprei … ma senz’altro è riuscito a ribaltare alcune leggende metropolitane che per anni, soprattutto nell’ambiente cinematografico circolavano su di lui, una su tutti quella della sua fantomatica tirchieria. Come si può definire tirchio e avaro un uomo che dona dei terreni sulla Laurentina per costruirci un ospedale, che ha aperto tre fondazioni, una per un campus biomedico, una per i giovani e una infine per gli anziani in difficoltà? Dunque W ALBERTO SORDI!
Ignazio Gori