Su re un film avvincente, poetico e imperdibile
Il regista Columbu è emergente ma promette bene

Su-reLa passione di Cristo in Sardegna, in dialetto, e con un Gesù straordinariamente umano, ma brutto come il peccato, il più antico, arcaico, genuino. Lo dice anche il profeta Isaia che Gesù di Nazareth non era di bell’aspetto, come invece ha imposto l’iconografia cinematografica pre-vangelo di Pasolini.

E’ un film a scacchi, con continui, non necessariamente ordinati in scia cronologica, dal Golgota agli ultimi giorni di vita di Gesù, pastore sardo, intellettualmente umile, limitato, quasi fisicamente menomato, un uomo fuori dal Tempo e soprattutto dalla Storia, incorniciata in un quadro paesaggistico che può ricondursi a 2000 anni fa, come a 50 anni fa, nel primitivo territorio sardo, dove tutto oscilla, persino le sassose montagne, affilate e fredde, le nuvole mobili, dando un senso di precarietà e inquietudine.

Splendidi i primi piani, prolungati e di matrice chiaramente pasoliniana, di volti scavati e rugosi, che non lasciano spazio alla gioventù, scartavetrata da fatiche violente, estreme, quasi “animali”; volti che ostentano tutte quelle imperfezioni e la spontaneità di attori non professionisti, ma per questo più commuoventi e “reali”. Giovanni Columbu, promettente regista sardo sotto l’ala protettiva di Nanni Moretti, racconta una passione di ombre, dove la luce oscilla, magra, come la speranza umana di una modernità violenta e corruttrice, volgare come la volontà di non capire al di là delle semplici parole.

su-re-la-locandina-definitiva-269797Chiare le intenzioni del regista di rifarsi ai vangeli sinottici, dove la verità sublima in leggenda. Dal titolo si evince che l’attenzione vuole farsi cadere sul ruolo di un ipotetico “Re dei Poveri” ( “Gesù Cristo era un pezzente/ tutto meno che potente/ nudo e sporco e sulla croce/ per non diventare Re”, canta Lucio Dalla, in “Controvento” dall’album Angoli nel cielo). Numerose le licenze poetiche e intimistiche, in un film nel complesso di alta levatura poetica, sin nei minimi dettagli, affrontati con la scaltrezza di un manovale dalle mani callose ed estremamente precise.

Tanto per fare un esempio, Ponzio Pilato, quando davanti a Maria – una delle tante “Marie” al seguito di Cristo, una Maria indistinta, a simbolo di una femminilità universalmente annientata – esprime il suo dubbio: “Re, bella parola questa, e neanche di questo mondo …”; o ancora la scena del processo davanti agli scriba e agli anziani sacerdoti nel tempio (che sembrano una cosca di ‘ndranghetisti sull’Aspromonte) che interrogano alcuni testimoni “pazzi”, o meglio “impazziti”, dagli insegnamenti semplici ma al contempo estremamente sovversivi di Gesù: “Gesù è un amico mio” sputa un pastore sdentato, folle come un detenuto di manicomio, “a Gesù non piacciono i ricchi, lui è per i poveri …”; o infine uno dei ladroni, rivolgendosi sulla croce all’altro ladrone, che inveiva contro Gesù: “Sei un pezzo di merda …”. Un lungo campionario di insulti, più che mai terragni, di una compassione degna dell’ignoranza popolare di certe zone del Sud, rimaste inalterate all’influenza globalizzante, senza dimenticare il ruolo della violenza, che a differenza della “passione” di Mel Gibson, è lasciata al tormento interiore dello spettatore, alla sua sensibilità.

Suggestiva e a presa diretta la scelta dell’uso dialettale sardo, come la scelta di non inserire una colonna sonora, per evidenziare il silenzio e i suoni originali della natura, il respiro affannoso del dolore. Tra tutti gli attori, bravissimi, da segnalare Fiorenzo Mattu, nel ruolo di Gesù Cristo. Giovanni Columbu ha saputo costruire, per originalità e intensità, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, affrontando un tema, come quello del Vangelo, dove troppo facile o troppo difficile è commuovere mostrando una cruda realtà. Meritata ogni lode, “Su Re” supera di gran lunga, soprattutto per impatto emotivo, “The Passion” di Gibson e si avvicina alla matrice originaria del Vangelo di Matteo di Pasolini con sorprendente e rinnovata modernità. Splendido. Imperdibile.

Ignazio Gori

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