“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini

Sulla-Mia-Pelle-680x381Un giovane romano, nome S. C. – non è importante il nome completo, perché questa è una storia che può capitare a chiunque – viene fermato la sera del 15 Ottobre 2009 da una pattuglia dei carabinieri. Viene perquisito e arrestato per possesso di hashish, cocaina e altre pasticche che il suddetto S.C. sostiene siano medicinali per l’epilessia. Il ragazzo viene tempestivamente portato in caserma – siamo in una Roma notturna, oscura come l’incubo in cui sembra improvvisamente piombato il malcapitato. Al processo per direttissima si presenterà malconcio, con evidenti ematomi sul viso e un fortissimo mal di schiena che quasi gli impedisce di camminare.

Il giudice stabilisce la custodia cautelare perché S.C. viene ritenuto colpevole di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Dopo l’udienza le condizioni del giovane peggiorano e da Regina Coeli viene trasportato presso il reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini, dove S.C morirà di terribili stenti il 22 Ottobre, esattamente sette giorni dopo l’arresto.
La domanda è: cosa è accaduto a S.C. nella notte dell’arresto nella caserma dei Carabinieri? Chi è stato a malmenarlo, procurandogli evidentemente lesioni fatali, visto che al momento dell’arresto il soggetto non mostrava lesioni di alcun tipo?
Il film Sulla mia pelle , scritto da Alessio Cremonini e Lisa Nur Sultan e diretto dallo stesso Cremonini, si basa su un fatto di cronaca diventato un “simbolo”, un evento che ci insegna come rinforzare la nostra logora coscienza. Come scrive Roberto Saviano su L’Espresso del 23 Settembre scorso, il “Caso S.C.” è una storia che ci riguarda tutti e questo film, senza mostrarci alcuna violenza, ce la fa vivere di persona, e aggiungo io, ce la sbatte in faccia, in una serie di crudi fotogrammi che fanno male nel profondo dell’anima, che penetrano la coscienza civile di ogni cittadino. Magnifica e intensa l’interpretazione di Alessandro Borghi (Non essere cattivo, Suburra, Napoli velata) nei panni di S.C., soprattutto a trapassare lo schermo con un “ecce homo” laico e derelitto, che se da una parte fa tenerezza dall’altra scuote le coscienze. Bravi anche Max Tortora che non siamo abituati a vedere in ruoli drammatici, la consolidata Jasmine Trinca, che interpreta la sorella-portavoce di S.C. e Milvia Marigliano; tutti personaggi pietrificati da un dolore insopportabile, doppiamente vero: non solo dunque la morte di un fratello, di un figlio, ma un dolore che svuota, che “zombifica” la fiducia verso tutti e tutto.
Sulla mia pelle è un film utile e coraggioso, anche da parte di Andrea Occhipinti e della Lucky Red che l’ha prodotto e di Netflix che l’ha distribuito, in barba alle mille polemiche e controversie che il caso ha sollevato e tuttora solleva a livello giudiziario, un film-di-denuncia che non deve assolutamente far perdere la fiducia dei cittadini verso lo Stato e le Forze dell’Ordine, ma che viceversa la deve rafforzare, impedendo ad esempio all’arma dei Carabinieri, citata espressamente nel caso, di fare ottuso blocco contro le accuse, ma di dare e ricevere giustizia, isolando eventuali “colpevoli”. Si è parlato di S.C. come di un ragazzo che ha affrontato due morti, quella fisica e quella civile e quest’ultima non è certo una cicatrice facilmente cancellabile, se non forse con un pieno “mea culpa”, con il riconoscersi una irresponsabilità dovuta alla distorsione dell’abuso di potere; gesti questi non molto comuni nel genere umano.
Alfred Hitchcock, il quale nutriva un terrore infantile per la polizia e le forze dell’ordine, diceva che non esiste storia più “horror” dell’innocente arrestato all’improvviso e dichiarato colpevole – ne è un esempio lo splendido “Il ladro” con Henry Fonda del 1956. Ecco, il Caso S.C. ci ha purtroppo rinnovato una vecchia e subdola paura: e se fossimo tutti continuamente in pericolo?

Ignazio Gori

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