In una Catania chiusa e allo stesso tempo trasgressiva, come una Berlino in miniatura, “caliente” e triste, come gli opposti dell’animo dei suoi protagonisti, si dipana una storia di vagabondaggio, di formazione, fragile e crudele, come il ricordo di colui che vuole riaprire una dura pagina del suo diario e mostrarla senza paraocchi. In questo senso, “Più buio di mezzanotte”, prima pellicola di Sebastiano Riso, non mostra nulla di nuovo, soprattutto se si ha letto e amato “Scende giù per Toledo”, di Giuseppe Patroni Griffi; ma è innegabile la spietata sincerità – anche se smaltata di gloss e di altri elementi “pop”, difficilmente accomunabili all’ambientazione della storia – che si è voluta, ancora una volta, buttare in faccia a chi nutre pregiudizi sessuali, restii a lasciar spazio a quella che Massimo Consoli chiamava la “comunità varia”. Continua a leggere
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