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“The Danish Girl” di Tom Hooper

The danish girlCi troviamo a Copenaghen, negli anni ’20. La pittrice in crisi d’ispirazione Gerda, moglie del più noto pittore paesaggista Einar Wegener, ha una fulminante intuizione e inizia a dipingere ritratti di suo marito travestito da donna. Questi quadri iniziano ad avere popolarità e Gerda può accarezzare il sogno di vederli esposti in una mostra addirittura nella sfavillante “Ville lumiere”. Nel frattempo però, la coppia va in crisi, perché Einar, sentendosi sempre più a suo agio nei panni femminili, inizia ad avere dei seri dubbi sulla sua eterosessualità (o forse quella del pittore è una vera e propria resa dei conti, dopo anni trascorsi a reprimere un’omosessualità latente?). Giunto dunque a un punto di non ritorno, dopo essersi ritrovato a provare attrazione per un ragazzo, Einar, con l’aiuto di sua moglie, dapprincipio titubante e poi sempre più premurosa, tenta di effettuare il primo intervento in assoluto di cambio di sesso. Il risultato sarà il suo martirio in nome dell’identità sessuale.
Anche se “The danish girl” di Tom Hooper – già ‘oscarizzato’ per “Il discorso del re” – sembra il manifesto di tutti i film “transgenici”, questa specifica filmografia non aveva certo bisogno di questo melodrammone sentimentale strappalacrime, che pur ha vinto il Queer Lion 2015 (miglior film dell’anno a tematica gay). Opere come *La moglie del soldato* o *Breakfast on Pluto* entrambi di Neil Jordan, o *Wildside* di Sébastien Lifshitz sono ben lontani. Sarebbe potuta esserci un’attenuante se la storia fosse stata tratta da un romanzo, dove la patinatura avrebbe avuto un senso diverso e complementare, come nel recente *Carol* di Todd Hayes. Perché è proprio la mancanza totale di realismo il difetto principale di questo film, nonché un buonismo ridondante e una eccessiva sensibilità al problema, quando invece è nota alle cronache la tremenda condizione in quegli anni per una persona con certe pulsioni, ovvero si finiva in manicomio senza mezzi termini. Nonostante ci sia una buona fotografia e un’ottima scenografia, ci sono le note stonate di trucco & parrucco, completamente fuori tempo (orripilanti le parrucche indossate da Alicia Vikander, nella parte di Gerda). Doveva essere un film aggressivo, rabbioso, intimo e struggentemente sessuale … e non questa poltiglia di dolcezza stucchevole e banalizzante. Dunque purtroppo nulla di eccezionale, semplice “routine cinematografica” per accalappiare la massa.
Potete leggere ovunque di quanto sia stato bravo il dolcissimo Eddie Redmayne recitando da transgender nella parte di Einar/Lili, ma oltre a un paio di moine e ad una smorfia a testa bassa, l’attore non è andato; mentre trovo decisamente migliore lei, la bellissima Alicia Vikander, rivelazione del cinema svedese, che qualcuno ha definito una delle donne più belle al mondo.

Ignazio Gori