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Presto 100 hotel in Europa firmati Ikea

Posizione centrale, efficienti, con un design pratico e con prezzi modici. Così sono stati pensati gli alberghi “made by Ikea”. Ma per gli appassionati dei mobili svedesi, non saranno nelle camere che prenoterete

La multinazionale svedese è un continuo vulcano di idee. E le pensa tutte. Dall’ecologico ai pannelli solari ora vuole lanciarsi nel settore alberghiero in Europa. E investe un miliardo di euro in questo nuovo progetto. Si sta organizzando e presto diranno il luogo. ”Stiamo cercando da tempo immobili in tutta Europa e tra qualche settimana annunceremo dove apriremo il primo albergo”, ha spiegato il responsabile della nuova attività Harald Muller in un’intervista al quotidiano Svenska Dagbladet.

A partire dal 2012, Ikea intende aprire “almeno 100 hotel” in Germania, Belgio, Gran Bretagna, Olanda e nei Paesi Baltici. per gli amanti del brand, gli alberghi non avranno il marchio Ikea e non sananno ammobiliati dal marchio svedese, ma saranno gestiti da gruppi alberghieri gestiti da Inter Ikea. Alberghi in posizione centrale, poco costosi e pratici. Ma Ikea conta di investire anche nelle residenze per studenti. Insomma, Ikea pensa a tutto.

Sara Stefanini

Bankitalia, il monito di Visco: «Abbassare le tasse per riavviare la crescita». Martino (Pdl): «Il governatore parli solo di politica monetaria»

Riduzione delle tasse e rimodulazione della spesa sono le parole chiave di Visco, durante l’assemblea annuale di ieri. Non tardano ad arrivare le prime critiche e polemiche.

Il deputato del Pdl e ex ministro della Difesa, Antonio Martino, in un’intervista al Corriere della Sera, dichiara: «Il severo monito è roba del passato. E secondo me il governatore dovrebbe parlare di politica monetaria, astenendosi dai giudizi sulla politica – e, aggiunge – mai nessun paese nel mondo è riuscito ad avere sviluppo con una spesa pubblica superiore al 40% del reddito nazionale. All’Italia servono riforme, non manovre».

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua relazione riconosce l’impegno di questo governo di risanare i conti pubblici ma si deve continuare ad agire sul piano strutturale con un «disegno complessivo». Quella che l’Italia sta vivendo è una crisi economica di portata globale: uscirne non sarà facile e «il percorso non sarà breve». Percepisce anche la difficoltà di crescita dell’Unione Europea, ma il 2012, sostiene Visco, «non potrà che essere un anno di recessione per le incertezze finanziarie e le drastiche, pur se indispensabili, misure di correzione del bilancio pubblico».

Se queste sono le parole del capo della Banca centrale italiana, di certo non possono essere di grande conforto per i cittadini che hanno perso il lavoro o che, tassati in ogni modo, non riescono ad arrivare a fine mese. L’unico spiraglio di speranza carpito dalle sue prime “Considerazioni finali”, durante l’assemblea annuale di ieri, è che verso fine anno probabilmente ci sarà una lieve ripresa.
L’innalzamento della pressione fiscale è, però, giunto «a livelli ormai non più compatibili con una crescita sostenuta». Visco invita, dunque, il governo al «ridimensionamento fiscale» ma l’appello è volto anche alle grandi imprese, alle quali chiede «uno sforzo finanziario aggiuntivo perché rafforzino il capitale delle loro imprese».

Tasse e crescita sembrano non essere sulla stessa lunghezza d’onda. Il 2012, però, raggiungerà il massimo storico, il 49,2% del Pil, mentre nel 2013, aumenterà ancora toccando il 49,5%. Se ne può dedurre, quindi, che almeno fino al prossimo anno, non ci sarà crescita.

Sara Stefanini

Report Card 10 dell’Unicef: 30 milioni di bambini poveri in 35 paesi ricchi

E’ stato presentato ieri, 29 maggio, il Report Card 10, realizzato dal Centro di Ricerca Innocenti dell’Unicef, dal titolo “Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti”.

Volto alla sua decima edizione, rappresenta il rapporto della povertà infantile nei paesi a reddito medio-alto. L’Unicef vuole così, stimolare la sensibilizzazione al tema anche per incentivare il governo ad avviare serie politiche che siano efficaci per abbattere le barriere della povertà.
Nella sede di via Palestro a Roma, il Presidente dell’Unicef Italia, Giacomo Guerrera, ha aperto la conferenza accompagnato dal curatore del rapporto Leonardo Menchini e dalla sociologa Chiara Saraceno. I dati sono stati raccolti seguendo due linee guida: l’indice di deprivazione dell’infanzia e l’esame della povertà relativa.

Il primo è un elemento nuovo e deriva da un’indagine condotta da European union’s Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) su 29 paesi europei. Per deprivazione materiale si intende la percentuale di bambini, tra 1 e 16 anni, che non ha accesso a beni, servizi o attività ritenuti “normali”, tra cui la socializzazione, l’istruzione, il cibo, il gioco, il vestiario e anche la connessione ad internet, divenuta ormai fondamentale per la vita quotidiana. I tassi più alti si registrano in Romania, Bulgaria e Portogallo ma anche Francia e Italia hanno una percentuale che supera la decina. I paesi nordici risultano i primi della classe europea. In tutto, sono 13 milioni i bambini e gli adolescenti che non riescono ad accedere agli elementi base per lo sviluppo.

35 sono i paesi ricchi presi in esame nel mondo. Un bambino su 4 si trova in povertà. Al di sotto della “soglia di povertà” nazionale (il 50% del reddito medio disponibile dalle famiglie), vivono i bambini romeni e americani oltrepassando il 20%. Meglio per Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito con tassi tra il 10% ed il 15%. Sul podio, sempre i paesi del nord d’Europa ed i Paesi Bassi con il 7%. Sono stati considerati anche i parametri europei per considerare la soglia di esclusione sociale tracciata al 60% del reddito mediano equivalente.

Il rapporto ha esaminato anche l’impegno che ciascun governo ha preso in ambito di protezione sociale. Ciò dimostra che la povertà non è inestinguibile ma è legata alle scelte politiche. Ad esempio, anche se al momento è un paese poco popolare, la Germania ha registrato cambiamenti notevoli tra il prima delle manovre politiche (17%) e il dopo (8%). In Europa si organizzano vertici a tal proposito e nel lontano 2010, i capi di Stato e di governo di tutti i 27 paesi dell’UE hanno posto il 2020 come l’anno di traguardo in cui 20 milioni di cittadini europei verranno tirati via dallo stato di povertà. Al momento, poco è stato fatto. Ma mancano otto anni. C’è tempo per criticare.

Sara Stefanini