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Crowdsourcing e giornalismo partecipativo: tutti gli strumenti di partecipazione dei cittadini

Guarda il servizio video realizzato da Sara Stefanini

Da Twitter a Google Maps, dai quotidiani online a Agoravox. Il cambiamento informativo sta nascendo dal basso, dal pubblico. Sono ancora pochi i media che utilizzano questi strumenti, ma ci stanno provando quotidiani come il Tirreno, il Secolo XIX e la Provincia Pavese. Condivisione di notizie, socializzazione sui social network partecipazione sul Web. E’ il crowdsourcing. Un neologismo comparso per la prima volta sulla rivista Wired, nel 2006 grazie a Jeff Howe.

Definisce un modello di business della new economy che permette, quindi, di realizzare un progetto aziendale che tipicamente veniva svolto all’interno dell’impresa stessa. i protagonisti diventano gli utenti. Un grande gruppo indefinito in una modalità di ricezione aperta.

Wikipedia è considerato uno dei primi esempi di crowdsourcing. Utenti registrati accrescono e aggiornano l’enciclopedia digitale, attraverso un modello wiki, nel quale ciascuno può modificare e correggere gli articoli.

In Italia il fenomeno sta prendendo piede e la partecipazione dei cittadini avviene ovunque possibile. Ci ha provato lo scorso anno il Ministero per la Pubblica Amministrazione e Innovazione servendosi del sito Zoopa.it per la creazione del nuovo logo.

Al momento, il governo ha aperto al pubblico un portale sulla spending review, nel quale è possibile segnalare eventuali sprechi o suggerimenti per ridurre le spese delle pubbliche amministrazioni.

 Un’altra novità proviene dal Tirreno, il quotidiano toscano, il quale fu tra i primi a pubblicare foto della Concordia su Twitter grazie a Danilo Fastelli che ha monitorato e aggiornato tutta la notte le notizie su Twitter che arrivavano dagli stessi naufraghi o da persone che chiedevano notizie. Il Tirreno ha cercato Giorgio Fanciulli, un ragazzo dell’isola che è stato il primo a postare le foto su Facebook, per chiedergli l’autorizzazione a pubblicare le sue foto sul sito del quotidiano. Il vuoto informativo dei media assopiti durante la notte, veniva colmato dal web e dal sistema partecipativo. Il Tirreno ha creato, inoltre delle inchieste partecipative sulla banda larga nella Regione attraverso il crowdmapping su Google Maps. e c’è stata una collaborazione multipla per l’alluvione del 25 ottobre 2011 di Genova, tra la comunità scientifica, cittadini e quotidiano stesso. Il tutto esclusivamente su mappa interattiva.

Il Secolo XIX ha gestito e diretto l’alluvione di Genova con continue indicazioni da parte dei genovesi sull’aggiornamento della situazione in tempo reale e sulle attuali amministrative del 2012 sempre a Genova realizzando 6 video per ogni candidato sugli argomenti caldi, dove tutti possono partecipare.

Il quotidiano La Provincia Pavese, utilizza principalmente due semplici strumenti: Twitter e Google Maps per ricevere segnalazioni continue sulla linea ferroviaria che collega Pavia con Milano. Il risultato? I guasti, i ritardi e le soppressioni di treni vengono segnalati prima di Trenitalia.

 Facebook, Google Maps, Twitter, blog. Sono semplici strumenti sotto gli occhi di tutti grazie al Web 2.0. E anche il giornalismo partecipativo fa uso di queste applicazioni. ad esempio AgoraVox, è composto da articoli pubblicati dai semplici cittadini. Un’opportunità in più, anche per gli aspiranti giornalisti. ma un dubbio sorge. Come può il giornalismo partecipativo conciliarsi con il giornalismo tradizionale?

Il giornalismo mainstream quale linea seguirà per il futuro? Le nuove risorse possono essere considerate uno spunto per il cambiamento? Per ascoltare le interviste vedete il servizio video qui.

Sara Stefanini

L’esercito digitale di Assad

Defacement a siti istituzionali dal 2011

Le guerre ormai si combattono anche sul Web a colpi di defacement e bannaggi. Il network pro-Assad più attivo è il Syrian Electronic Army (Sea). L’esercito armato di mouse e tastiera pianifica i propri attacchi attraverso l’apposito sito e Facebook. Tra le vittime si annoverano i siti della Casa Bianca, di Barack Obama e Nicolas Sarkozy, del Parlamento Europeo, dell’Università di Harvard, delle emittenti Al Arabyia e Al Jazeera e molti altri. Non si tratta di giovani volontari ma di una vera e propria equipe che cerca di prolungare l’inverno arabo e non si sa quanti siano. Due studi pubblicati su infowar-monitor.net da Helmi Norman, dimostrano la probabile diretta affiliazione con il governo siriano. L’Information Warfare Monitor, società indipendente canadese, sta monitorando da tempo il Syrian Electronic Army con cybersoldati annessi. Il sito del Sea è stato registrato il 5 maggio 2011 tramite la Syrian Computer Society che, negli anni ’90, era diretta dallo stesso Bashar Al-Assad, attuale Presidente siriano.

 

 

 

Norman, ricercatore dell’Università di Toronto ha dichiarato: «la Siria è il primo Paese arabo ad avere un esercito pubblico su Internet per lanciare apertamente cyber-attacchi ai propri nemici». Tra i commenti sul social network di Zuckerberg si legge “Dio salvi Bashar” e “Bashar Al-Assad sono con te”. Da giugno 2011, i siti defacciati sono 995 ma gli hacker siriani non si fermano qui. L’ultimo attacco risale al 29 gennaio, sul sito inglese di Al-Jazeera che è stato infestato da foto pro-Assad. La Sea non è ufficialmente appartenente al governo ma nel giugno dello scorso anno, proprio il Presidente Assad ha dato la benedizione presso l’Università di Damasco affermando: “C’è un esercito elettronico che è stato un vero e proprio esercito nella realtà virtuale”.

Al di là di questi dettagli, ciò che interessa maggiormente, sono le modalità e le tipologie di azione intraprese dal Syrian Electronic Army. Le due principali strategie del gruppo comprendono attacchi DoS (Denial of Service), che impediscono l’accesso all’indirizzo web colpito, ed azioni di “defacing”, ossia azioni di sostituzione della homepage di un sito con un’altra pagina prescelta, un vero e proprio cambio di faccia.

Gli obiettivi dell’esercito digitale sono principalmente 3:

1) Defacing contro siti occidentali: di opposizione al regime siriano. Talvolta vengono colpiti anche siti non politicamente rilevanti

2) Defacing contro siti siriani di opposizione: soprattutto tramite Facebook. Ai membri veniva dato un software apposito utile per lanciare attacchi DDoS (Distributed-Denial-of-Service). Esempio clamoroso è stato quello al sito della cantante siriana Asalah Nasri (http://queenasalah.com), accusata di tradimento dopo aver rifiutato un invito a cantare a sostegno del Presidente al-Assad.

3) Spamming: sul social network di Mark Zuckerberg. I soldati virtuali si mettevano d’accordo sulla pubblicazione di commenti pro-regime in pagine precise in archi di tempo di due-tre ore. E’ questo l’esempio delle pagine ufficiali di media e personaggi politici prima nominati.

Quali dovrebbero essere le precise conseguenze di simili attacchi? Il fenomeno è nuovo e tutto in totale fase di analisi, ma la cosa certa è che il Web può essere un campo di battaglia nettamente diverso da quello sempre conosciuto, ma decisamente più tattico e strategico.

Sara Stefanini