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Premiati i “mobile journalists” al Festival del Giornalismo ‘12

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Tim, sponsor ufficiale del Festival del giornalismo a Perugia, ha indetto il primo concorso sul giornalismo partecipativo in Italia. I sei vincitori sono stati premiati a Perugia, lo scorso venerdì 27 aprile. Sono arrivati in redazione ben 60 video e 900 fotografie di cui solo sei sono stati i lavori vincenti.

You the mobile journalist

Per la fotografia: il primo classificato è Luktar con la foto “Quattordici dicembre 2010 Roma brucia”, il secondo Lupoalato con “Rogo nel Sud Pontino” ed il terzo “Vuoto a perdere” di Lefotodifiore.

Per il video: il primo classificato è Luciana8 con “Senegal: cronaca di una vittoria popolare”, il secondo è “Ragazzi di piazza a Gratosoglio” di Grrmeo ed il terzo video è “Una pattuglia notturna MNTF-W in Kosovo” di Rosiebibi.

All’evento, nel teatro del Pavone in piazza Repubblica, hanno partecipato l’ad di Telecom Marco Patuano, il direttore dell’Ansa Luigi Contu, l’head manager di Samsung Electronics Thomas Richter, il direttore di La7 Paolo Ruffini, la social media curator Claudia Vago ed il moderatore è stato il direttore di linkiesta.it Jacopo Tondelli. Si è tenuta una vera e propria tavola rotonda dell’informazione nelle mani della tecnologia. Si è puntualizzato su come il cellulare abbia cambiato la vita quotidiana ma anche la vita giornalistica. Lo smartphone non è diventato solo uno strumento di ricerca delle notizie, ma anche di produzione delle news. Si scattano foto, si realizzano video, si registrano interviste, si geolocalizzano eventi e si pubblica il tutto istantaneamente. Sotto questo profilo, Ruffini sottolinea che il web mobile ha cambiato la modalità di fruizione della tv. Si crea così una sorta di rivalità tra i video di alta qualità realizzati in tv ed i milioni di video amatoriali nel web. È in questione il livellamento generale, cioè se questi ultimi debbano essere realizzati più professionalmente o se i servizi televisivi per far fronte alla velocità di Internet, debbano “abbassarsi” ed essere più grossolani. Mentre l’amministratore delegato della Telecom sostiene che internet sul telefono si utilizza mentre si cammina e che le piattaforme mobili devono essere programmate in relazione a questo. Luigi Contu coglie l’occasione per annunciare che entro quest’anno l’Ansa lancerà il canale video per completare gli strumenti offerti al pubblico. D’altronde, la sfida dei media è aperta, Marco Patuano sentenzia: «Il web vuol dire riuscire a coinvolgere tutti».

Sara Stefanini

 

Il giornalismo partecipativo attraverso Gennaro Carotenuto

Intervista a Gennaro Carotenuto, giornalista e professore all’Università di Macerata

Gennaro CarotenutoFacebook, Twitter, più seguiti delle televisioni? Per capire la direzione del giornalismo partecipativo che si sta inserendo sempre più nella vita quotidiana di tutti noi, l’intervista a un esperto del settore, Gennaro Carotenuto, scrittore del libro “Giornalismo partecipativo”, Nuovi Mondi Editore. Come il giornalista stesso scrive sul suo sito: «Siamo di fronte a un’erosione del latifondo mediatico e a una Riforma agraria dell’informazione? ».

Qual è la funzione del giornalismo partecipativo di fronte alla crisi dei quotidiani?

«Il giornalismo partecipativo ha una funzione di riequilibrio rispetto al monopolio mainstream sull’informazione. Rispetto alla concentrazione editoriale dei grandi media che si trasforma in omologazione del messaggio, il giornalismo partecipativo, la coda della cometa, permette di abbassare l’assicella, innanzitutto economica, che permette di comunicare».

Come si sta evolvendo il giornalismo partecipativo in Italia e nel mondo? Che differenze ci sono?

«La cosa più importante che sta avvenendo da 2-3 anni è la forza quasi onnipotente dei social network, innanzitutto FB ma anche Twitter. Questi mettono nella timeline dell’utente sullo stesso piano mainstream e partecipativi. All’inizio sembrava che i blog fossero superati da Facebook convogliando lì enormi flussi di utenza e di tempo/Rete. Adesso sappiamo che sono un canale e una palestra dove media diversi si confrontano alla pari».

Crede ci sia futuro per la carta stampata?

«Certo! Hanno il futuro dei dischi in vinile dopo l’avvento del CD o la carrozzella a cavalli all’invenzione del motore a scoppio. Bei ricordi romantici del tempo che fu con piccoli spazi di nicchia. Il che non vuol dire che la redazione giornalistica scomparirà».

 Sara Stefanini

 

Narcisismo digitale, questo sconosciuto

Libro consigliato: “Giornalismo partecipativo o narcisismo digitale?”

Cercare il proprio nome sui motori di ricerca? Analizzare quanto si è presenti nel Web? Tutto ciò ha un nome e si chiama narcisismo digitale. Il neologismo deriva dall’inglese to surf che significa “navigare”, sommato alla parola ego la quale significa il “sé, l’”Io”. Non è quel che si direbbe un argomento comune, ma il narcisismo digitale è presente nell’Oxford English Dictionary già dal 1998.

Il culto di sé porta gli egosurfisti a ricercare siti che permettono di calcolare lo stato virtuale di un utente per verificare come compare online. Qdos.com, ad esempio, è nato nel 2008 e stila persino una classifica “Top 20” dei più cliccati. Stando ai dati resi pubblici dalla stessa applicazione, i più narcisisti sono gli inglesi e prendono decisioni in base al loro status digitale. Pensare che il 16% degli intervistati ha scelto la propria casa basandosi sui possibili vicini che appaiono online, è assurdo. Eppure equivale a verità. Uno su cinque, ha ricercato il potenziale datore di lavoro prima di accettare l’assunzione stessa. Il fenomeno dell’egosurfing deriva in gran parte dalla distorsione che inevitabilmente si crea attorno ad un mezzo di comunicazione nel momento in cui quest’ultimo diventa di massa.

Il digit-Io si sta diffondendo ed esperti in comunicazione cominciano a studiare il caso. Per un certo filone di studiosi, i contenuti prodotti dal Web 2.0, il web partecipativo, sono prodotti “nonsense autoreferenziali”, autocitazioni che vanno a gratificare l’Io. Sintomo ad esso collegato è il presenzialismo. La voglia di esserci sempre e dovunque. Su ogni sito o blog, si sente la necessità di lasciare il segno. E da ciò, derivano due conseguenze: la depressione da assenza e l’esaltazione da presenza. O ci si sente delusi perché il Web non si degna di far comparire il proprio nome o si è infervorati per aver ritrovato la propria traccia su Internet.

In America, il fenomeno sta diventando una mania. Il 47% dichiara esplicitamente la ricerca di sé, rispetto al 22% del 2002. Il sondaggio è stato svolto dalla Pew Internet & American Research. L’indagine è stata chiamata Digital Footprints, ossia le “impronte digitali” lasciate da migliaia e migliaia di utenti.

Ma la domanda che può sembrar banale è: perché gli utenti sono utenti e partecipano attivamente nel Web? Secondo Abraham Maslow, uno dei padri fondatori della psicologia umanistica, suppone che le persone siano motivate a partecipare per soddisfare le proprie necessità. Amy Jo Kim, ricercatrice dei new media, nel saggio Community building in the Web, ha realizzato una gerarchia delle necessità online, dall’accesso al Web, allo sviluppo di capacità che portano a nuove opportunità nella rete. Viene, così, messa in gioco la reputazione, che può essere acquisita e guadagnata nel Web, ma con dei limiti. La mancanza di “portabilità” è uno di questi. La stima ottenuta in un sito, non è trasferibile in un altro. Questo crea delle “isole di reputazione”, senza completa possibilità di collegamento.

Il Web 2.0 è un mondo ormai in evoluzione dove l’informazione è wiki, si costruisce, cioè, insieme, nel piccolo grande villaggio globale. La Rete ha eliminato le distanze, ha dimezzato i tempi ed ha dato voce a quell’audience creduto passivo. Quelle persone, adesso, sono le protagoniste del mondo virtuale.

Sara Stefanini