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Più che “telegramma dal futuro”, sembrava un’overdose del passato

Michele Smargiassi di Repubblica ha introdotto lo scorso 15 giugno, Maurizio Ferraris, professore di Filosofia teoretica, si occupa delle pagine culturali di Repubblica. “La Repubblica delle idee” a Bologna prevedeva un question time chiamato “Un telegramma dal futuro”.

Ferraris, Un telegramma dal futuro, La Repubblica delle idee, Bologna

Maurizio Ferraris, Un telegramma dal futuro, La Repubblica delle idee, Bologna

Bene, dopo questi preamboli specifichiamo che il prof. Ferraris si occupa di ermeneutica, estetica e ontologia. Nel convegno, però, ha parlato di concetti che sono ben lontani dal futuro. Anzi, oserei dire che il futuro disegnato dal professore sia il “telefonino” (così lo chiama, ma chi glielo dice che ormai “quell’aggeggio” si chiama cellulare o smartphone?).

Il telefono è diventato telefonino e da una “macchina” per parlare è diventata una macchina da scrivere. Non è proprio quello che si direbbe il preambolo di un discorso avvenieristico. «Hai il mondo in mano e sei in mano al mondo», sentenzia Ferraris. Cresce continuamente la responsabilità e la tensione nei confronti del cellulare perché si controllano continuamente email di lavoro e non si riesce mai a “staccare la spina”. Questo è un processo cominciato già da due lustri se non di più, non sembra un discorso d’avanguardia.

C’è un trionfo dela registrazione, ogni cosa viene registrata ed ogni oggetto ha sempre più memoria. Forse per compensare la memoria quasi inesistente della società umana? Questo può forse essere uno dei pochi spunti.
Non si capisce bene quale sia il succo di questo incontro, ma sembra proprio che Ferraris interpreti il futuro come una forma di memoria del passato, perché di questo ha parlato. Non ha nominato internet, i social network, il citizen journalism, niente di niente.

Sara Stefanini

“Gocce di mercurio” di Giuseppe Bonaccorso

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Una collezione di poesie scritte e pensate tra l’ottobre ed il novembre del 2011. Periodo, evidentemente, di molta ispirazione e di non poca malinconia che ha portato l’autore ad essere “assorto in una nuvola di fumo”. Una struttura scarna e senza rime che cela significati profondi espressi da similitudini e la continua presenza di puntini di riflessione come versi. Questi ultimi, come lo stesso poeta chiosa, non solo svolgono una funzione di separazione fra diverse tematiche ma anche di pausa “musicale”, nella quale “il lettore e’ costretto a fermarsi e, se lo desidera, lasciar fluire i pensieri liberamente”.
Il mercurio è un metallo pesante di un color argenteo altamente tossico, ma nell’antichità veniva visto come un elemento primordiale costituente la materia e si pensava addirittura potesse allungare la vita. Come tale, il mercurio può essere paragonato ai ricordi che compongono la materia grigia, ossia il cervello. Come il metallo argenteo, possono essere nocivi se eccessivamente considerati ma che, ad ogni modo, contribuiscono ad allungare la vita del passato di ciascuno.
Le parole che più ricorrono sono quelle riguardanti l’attesa ed il ricordo. “Mi dibatto tra memorie rivestite di cemento”, scrive nella poesia Ricordo il momento. La tematica principale è l’asprezza di eventi passati e nostalgici sguardi a ritorni mai avvenuti. Scene costruite con la ricercatezza delle parole, descrizioni minuziose che rendono viva l’immaginazione del lettore. Impressionante, infatti, è l’uso delle parole con l’accostamento nella realtà. Crea nitide immagini impossibili come  “una spigolosa pietà”, “l’aurora sanguina nel cielo”, “ho dormito sotto una coperta di pietre”, “una folla d’archi rotti”. Usa contraddizioni continue come “i morti ancora vivi” e “vecchi amici mai incontrati” che portano a un senso di vuoto colmabile solo con una riflessione introspettiva scandita dalla sempre presente punteggiatura. Un’accettazione amara del passato che si scontra con la realtà in maniera altalenante come l’uso del bianco e del nero con un intervallo di non colore.
Non descrive vie e strade ma sentieri e viali, molto più timidi e introversi, tortuosi e perigliosi angoli dello spirito. E l’adolescenza viene vista come un qualcosa che mangia, divora: “mordeva i giorni la trasecolata ostinazione come un cane la gamba d’una sedia”. Non è esattamente il ricordo che tutti hanno della propria infanzia, ma è parimenti interessante l’emozione che soli quattro versi riescono a regalare.
Giuseppe Bonaccorso è un ingegnere ma da sempre appassionato al mondo della riflessione e della poesia. Come un rigoroso ingegnere, infatti, ordina i pensieri in brevi versi colmi di sensazioni travolgenti. Ha scritto vari saggi e libri di narrativa tra cui Frammenti dal profondo, Il doppio cosciente, Storia di Pietro e Ballando con gli specchi.