Il gallese Peter Greenaway è un regista sofisticato, con una indubbia vocazione pop anni Ottanta a miscelare ecletticamente arte cinematografica con altre arti figurative o musicali; mi sono sempre chiesto infatti come Lars von Trier abbia potuto soffiargli un film come “Dancer in the dark” senza avere come tornaconto una scioccante crisi artistica. Ma debbo dire che con l’ultimo “Eisenstein in Messico” (titolo originale “Eisenstein in Guanajuato”) Greenway è riuscito ad accorpare in un caleidoscopio di colori e umori tutta la sua più provocatoria vena narrativa, tanto da poter affermare quasi con certezza che probabilmente questo è il suo lavoro più riuscito, più personale.
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