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Giornalismo cartaceo vs giornalismo sul web

 

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C’è chi sostiene che l’era del giornale è finita, c’è chi, invece, non crede nell’inchiesta del settimanale inglese, l’Economist, che vede il 2043 come l’anno del tramonto del quotidiano cartaceo.

Ad ogni modo, l’era digitale è cominciata e il bisogno di trasparenza e chiarezza, porta i cittadini a diventare reporter. Ed ecco che, dal 2006, in Italia, compaiono siti come Liquida e AgoraVox. L’interesse per questa nuova realtà del giornalismo italiano cresce. Tanto che in una università, quella di Macerata, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, è attivo dal 2008 il primo Master in Giornalismo Partecipativo.

Ma c’è una questione che è ancora tutta senza risposte: chi paga il nuovo giornalismo? Paolo Mieli osserva: “Passare a questa anarchia creativa e non pagata è un rischio che ha riflessi sulla società. Se non troviamo forme di remunerazione, nel giro di pochi anni potrebbe venir meno il giornalismo che conosciamo”.

Ma secondo Lucia Annunziata nel giornalismo italiano c’é una malattia del sistema che non ha a che fare con l’avvento delle nuove tecnologie. E’ finita un’ era per tutti, anche per i giornali. E gli editori sono i primi a doversi porre il problema della rottura con il passato”.

Anche per Mario Orfeo, direttore del Messaggero, la questione è il credito o discredito del giornalismo: mai come in questa fase sarebbe necessario che il giornalismo si accompagnasse alla democrazia. Sarebbe utile riflettere sul fatto che il processo della rivoluzione digitale é irreversibile. Il giornalismo si deve liberare da concezioni del passato ed aprirsi al futuro”.

Sara Stefanini

L’esercito digitale di Assad

Defacement a siti istituzionali dal 2011

Le guerre ormai si combattono anche sul Web a colpi di defacement e bannaggi. Il network pro-Assad più attivo è il Syrian Electronic Army (Sea). L’esercito armato di mouse e tastiera pianifica i propri attacchi attraverso l’apposito sito e Facebook. Tra le vittime si annoverano i siti della Casa Bianca, di Barack Obama e Nicolas Sarkozy, del Parlamento Europeo, dell’Università di Harvard, delle emittenti Al Arabyia e Al Jazeera e molti altri. Non si tratta di giovani volontari ma di una vera e propria equipe che cerca di prolungare l’inverno arabo e non si sa quanti siano. Due studi pubblicati su infowar-monitor.net da Helmi Norman, dimostrano la probabile diretta affiliazione con il governo siriano. L’Information Warfare Monitor, società indipendente canadese, sta monitorando da tempo il Syrian Electronic Army con cybersoldati annessi. Il sito del Sea è stato registrato il 5 maggio 2011 tramite la Syrian Computer Society che, negli anni ’90, era diretta dallo stesso Bashar Al-Assad, attuale Presidente siriano.

 

 

 

Norman, ricercatore dell’Università di Toronto ha dichiarato: «la Siria è il primo Paese arabo ad avere un esercito pubblico su Internet per lanciare apertamente cyber-attacchi ai propri nemici». Tra i commenti sul social network di Zuckerberg si legge “Dio salvi Bashar” e “Bashar Al-Assad sono con te”. Da giugno 2011, i siti defacciati sono 995 ma gli hacker siriani non si fermano qui. L’ultimo attacco risale al 29 gennaio, sul sito inglese di Al-Jazeera che è stato infestato da foto pro-Assad. La Sea non è ufficialmente appartenente al governo ma nel giugno dello scorso anno, proprio il Presidente Assad ha dato la benedizione presso l’Università di Damasco affermando: “C’è un esercito elettronico che è stato un vero e proprio esercito nella realtà virtuale”.

Al di là di questi dettagli, ciò che interessa maggiormente, sono le modalità e le tipologie di azione intraprese dal Syrian Electronic Army. Le due principali strategie del gruppo comprendono attacchi DoS (Denial of Service), che impediscono l’accesso all’indirizzo web colpito, ed azioni di “defacing”, ossia azioni di sostituzione della homepage di un sito con un’altra pagina prescelta, un vero e proprio cambio di faccia.

Gli obiettivi dell’esercito digitale sono principalmente 3:

1) Defacing contro siti occidentali: di opposizione al regime siriano. Talvolta vengono colpiti anche siti non politicamente rilevanti

2) Defacing contro siti siriani di opposizione: soprattutto tramite Facebook. Ai membri veniva dato un software apposito utile per lanciare attacchi DDoS (Distributed-Denial-of-Service). Esempio clamoroso è stato quello al sito della cantante siriana Asalah Nasri (http://queenasalah.com), accusata di tradimento dopo aver rifiutato un invito a cantare a sostegno del Presidente al-Assad.

3) Spamming: sul social network di Mark Zuckerberg. I soldati virtuali si mettevano d’accordo sulla pubblicazione di commenti pro-regime in pagine precise in archi di tempo di due-tre ore. E’ questo l’esempio delle pagine ufficiali di media e personaggi politici prima nominati.

Quali dovrebbero essere le precise conseguenze di simili attacchi? Il fenomeno è nuovo e tutto in totale fase di analisi, ma la cosa certa è che il Web può essere un campo di battaglia nettamente diverso da quello sempre conosciuto, ma decisamente più tattico e strategico.

Sara Stefanini