“Turner” di Mike Leigh

turner-mike-leighI film che riguardano le esistenze dei grandi pittori suscitano sempre non pochi dubbi negli appassionati dell’arte. Se da un lato ho potuto parzialmente apprezzare “La ragazza con l’orecchino di perla” di Peter Webber sul capolavoro di Vermeer, non ho potuto fare altrettanto con l’episodio dedicato ai girasoli di Van Gogh inserito da Kurosawa nel suo “Sogni”, per non parlare – caso unico – del meraviglioso “Caravaggio” di Derek Jarman. Ma a parte queste osservazioni del più o meno recente passato, debbo dire che “Turner” di Mike Leigh, nelle sale in questi giorni, sia un film biografico impetuoso e poetico, in egual misura, proprio come l’animo burbero e tenero del pittore inglese che Leigh vuol circoscrivere limitatamente agli ultimi anni della sua vita e carriera pittorica.

Nella pellicola, forse un po’ troppo lunga (149′) il bravissimo Timothy Spall (già sodale con Leigh in “Segreti e bugie” e icona nei film dedicati a Harry Potter) interpreta l’uomo-Turner e il genio-Turner con la stessa verve dickensiana e misantropa che tanto sarebbe piaciuta al suo maestro Ken Russell, che lo ha fatto esordire nel 1986 con “Gothic”. L’intuizione geniale di Leigh ritraggono a perfezione gli ultimi venticinque anni di Joseph Mallord William Turner (1775-1851). all’insegna della misoginia, della contraddizione, di orgoglio, di consapevolezza, di sventure esorcizzate. Sembra il ritratto umano di un artista assorbito dalla sua professionalità, o, guardandolo con l’ottica del regista, il film potrebbe essere paragonato come il ritratto dilettantistico di un artista ben più complesso da quello che appare in questa pellicola. Potrebbe da queste ultime osservazione sembrare dunque un film contraddittorio e in effetti lo è, visto che insieme all’artista – e ben supportato da una fotografia di gran livello – ci vengono addosso, brulicanti come comprimari sublimi, attori in grado di dare profondità a un personaggio – come appunto lo Scrooge di Dickens – apparentemente impenetrabile: Dorothy Atkinson, la serva-amante di una vita e poi Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley Manville, Martin Savage e Ruth Sheeh. L’epoca di Turner – i cui quadri potrebbero essere riassunti dalle Odi del coetaneo John Keats e viceversa – è una epoca di regine capricciose, di dame spocchiose, di lord incipriati e di marinai che cantavano “Jenny dei Pirati”. il tutto tra disincanto e verità. Turner si muove tra questa massa acquosa con un distacco amoroso e sublime, non subendo minimamente le pompose solennità dei critici d’arte. Turner era un artista libero, il prototipo dell’artista libero e consapevole delle sua arte. I suo quadri per questo hanno bisogno di una fede, piuttosto che di una critica stilistica, una fede recondita tra il neoclassico e il barocco. Mi permetto di dire che raramente un film “in costume” (“Il marchese del Grillo?” di Monicelli) sia così intonato all’epoca cui si riferisce. Un film “umorale”. Il che non è poco.

Ignazio Gori

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