“Una nuova amica” di François Ozon

una nuova amica film“Quando ero piccolo mi dicevano che i maschietti nascevano sotto i cavoli, e le femminucce sotto i fiori. Io forse sono nato sotto un cavolfiore.” Ha un valore l’identità sessuale nella società contemporanea? François Ozon (“Swimming pool”, “Il rifugio”) ha a mio parere rischiato troppo nell’indagare i pericoli e le possibilità amorose di donne e uomini moderni, ma non riesco a capire nella narrativa cinematografica di Ozon quanto ci sia di ironico e quanto di serio, ovvero di realistico.

Sembra che il regista francese adori esplorare tutte le contraddizioni di essere donna, ma diversamente da Almodovar, non c’è un filtro e/o epilogo tragico, bensì una sorta di via d’uscita, come in quest’ultimo accattivante UNA NUOVA AMICA, dove l’escamotage del travestitismo è un ornamento coreografico a delle pulsioni, forse represse, forse risultato di un esaltato, barocco estetismo: questo Ozon non ce lo fa capire, ma solo intuire.
C’è un uomo che vuole apparire come “donna” pur non sapendo della sua omosessualità, anzi, quest’uomo non è omosessuale, o almeno non accetta di esserlo e prova attrazione per le donne. Il desiderio di David (interpretato abilmente da Roman Duris: l’aspetto più interessante del film) è un desiderio estetico-feticista, non nutre inclinazioni transessuali, vuole “solo” travestirsi da donna (donna “vera”) per poter esaurire il suo stesso desiderio (all’inizio solo domestico, poi, con l’aiuto della sua amica, anche pubblico), forse per placare e completare ideologicamente il lutto della scomparsa di sua moglie e suggellare agli occhi del suo figlioletto neonato la figura femminile della “mamma” anzi, del “mammo”. Tutto molto complicato. Ma non è David l’attrazione di un film che ritarda in continuazione il colpo di scena, tenendo incollato lo spettatore alla storia e che a tratti lo destabilizza, lo scoraggia addirittura, con dei flash di ipotetici finali solo sognati, anzi trasognati nel flusso di coscienza degli attori. Dicevo che non è David il protagonista vero, ma la sua amica Claire (Anais Demoustier), amica d’infanzia della amata (velato saffismo?) defunta, moglie di David. E’ lei ad affrontare una stramba trasformazione identitaria. Nel conoscere l’ambigua mania di travestirsi di David e poi quasi nell’incitarla, in un vortici di attrazioni più o meno palesate, Claire attratta dall’androginia, posticcia ma ironica di David, si maschilizza moderatamente, apparendo lei il vero “travestito” della situazione. In una guerra di incertezze sessuali, chi è che soccombe? I due finiranno inevitabilmente per innamorarsi.
Bellissimi e d’effetto sono i titoli di testa con le immagini della vestizione della defunta con un abito da sposa. Si direbbe un inizio folgorante, ma per la prima mezz’ora il montaggio delle scene è silenzioso – come quasi tutti i film di Ozon – lasciando una nuda cronaca famigliare. Poi il film sale d’intensità, con un fascino classico e moderno al tempo stesso. Si percepisce una ispirazione sopita ma chiara nella mente del regista: il confronto con se stessi è la tematica portante. Il tutto con un garbo troppo elegante, come se Ozon avesse il timore di cadere nella “volgarità” e questa è una pecca, benché la forza del film sia tutta nell’immaginare come andrebbe, come sarebbe, se … Sarebbe stato certo fulminante se verso la fine si sarebbe scoperto la relazione tra il marito di Claire e David, ma il dubbio si esaurisce appena nel flash visionario della stessa Claire, avvenuto negli spogliatoi del Tennis Club.
UNA NUOVA AMICA è un film sobrio e circolare, nonostante si abbia la sensazione di una incompiutezza di fondo, di un’ambiguità patinata. Il film si perde nel finale, quando David esce (in maniera abbastanza banale) da un coma dopo un brutto incidente stradale e inizia da travestito una relazione con la stessa Claire che nel frattempo ha lasciato suo marito completamente sbigottito. Il film non ha tempo, né spazio, e forse i vari personaggi sono un poco mosci, inverosimili, una favola moderna e barzotta di un gay smanioso di dare un contento alle “famiglie arcobaleno”*. L’intreccio ad un certo punto avvince, ma i paragoni con Hitchcock (Ozon: Hitchcock che incontra Almodovar!) mi paiono abbastanza pretenziosi. “La donna che visse due volte” ha una carica erotica incommensurabile e non c’è nulla che tenga. Così come “Tutto su mia madre”. Una masturbazione lenta, tirata troppo a lungo, che depotenzia e vanifica l’orgasmo finale.

*(famiglie aperte con uno o più elementi gay o gay-friendly)

IGNAZIO GORI

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