Urban Diary di Ignazio Gori – Undicesima puntata
Giuda Dellera e la palma nel condominio

palmaGiuda Dellera aveva un appuntamento importante, ma sembrava non preoccuparsi troppo dell’impegno preso e di tarda mattina uscì a fare due passi nel suo quartiere. Comprò un quotidiano e bevve una tazzina di caffè al solito baretto sottocasa, nonostante ne avesse già bevuto una caraffa appena alzato. Giuda Dellera beveva esclusivamente caffè “Iaquinta”, una qualità della sua regione. Giuda infatti era calabrese e viveva a Roma da molti anni, talmente tanti da aver perso l’uso del dialetto, quando ad esempio incontrava un conterraneo, vagabondando a Centocelle.

Dopo il solito giro mattutino, consistente da anni nello stesso ossessivo percorso, Giuda si sedette sulla sua panchina preferita, sul marciapiede dissestato, proprio di fronte casa sua, dall’altro lato di via dei Castani. Giuda Dellera sedeva lì, che ci fosse il sole o che piovesse, e persino quando raramente nevicava. Se c’era il sole osservava il profilo del proprio palazzo scalcinato, con quel fascino liberty e un pò malinconico, e poi il nespolo e la palma rinsecchita che tutti gli altri condomini volevano far tagliare, tranne lui. Gli piaceva la palma del cortiletto, gli ricordava il Sud.

panchinaGiuda amava inoltre osservare i gabbiani, che a volte si spingevano dal mare fino a quel ritaglio di cielo romano. Quando pioveva invece, osservava l’acqua scivolare dal tetto di tegole sconnesse, traboccare dalla grondaia pericolante e infine gocciolare giù sull’asfalto e sulla strada a formare tante pozzanghere, belle come specchi di tristezza. In fondo alla strada c’era la chiesa di San Felice. Era una chiesa orrenda e Giuda non la guardava mai; in più, dinanzi ad essa, sorgeva un cantiere eterno, dove si diceva – soprattutto il giornalaio che aveva il chiosco proprio lì vicino – che di notte accadessero cose molto strane. Giuda non se n’era mai interessato e come tutti gli altri misteri della città se ne teneva alla larga.

Anche quella mattina il cantiere della chiesa di San Felice era in fermento e Giuda Dellera sedeva sulla sua panchina preferita ad osservare la palma piantata da quarant’anni nel cortiletto della sua palazzina. Non avrebbe mai acconsentito a farla tagliare e si meravigliava che persino la famiglia di coinquilini egiziani del secondo piano – paese l’Egitto popoloso di palme! – avesse sottoscritto parere favorevole all’abbattimento. Riguardo il travestito del suo stesso pianerottolo, non c’erano parole da spendere, né per l’avvocato divorzista del terzo piano, che tra l’altro si era occupato della sua pratica, cinque anni prima. In più il suo migliore amico si chiamava Ettore Palmas, un motivo in più, offerto dal caso, per opporsi a quello scempio.

Con questi pensieri nella testa, Giuda Dellera si alzò dalla panchina con il quotidiano sottobraccio, letto e riletto, e attraversò via dei Castani, dirigendosi a casa, memento dell’importante appuntamento che doveva onorare; un impegno che gli premeva le tempie, gli appesantiva le gambe. Davanti al cancelletto del palazzo tolse dalla tasca il mazzo delle chiavi. Il portachiavi recava un ciondolo con il viso di Dracula. Il suo amico Ettore Palmas gli aveva più volte detto che quel ciondolo portava sfortuna, che Dracula era stato un sanguinario terribile e che equivaleva a tenere Hitler sempre in tasca. Ma a Giuda tutta questa scaramanzia non interessava, e poi il suo Dracula aveva un viso severo e rassicurante, quale può averlo un Dio incapace di mentire a se stesso, o un sindaco che mantiene sempre la promessa di splendidi tramonti di sangue, visibili da ogni scorcio della città. Giuda aprì il cancelletto ed entrò nel cortiletto interno: a destra c’era la palma oggetto del contenzioso condominiale, a sinistra il vecchio nespolo. Giuda aprì anche il portone del palazzo e salì le due brevi rampe di scale fino al suo appartamento, primo piano, interno due. Aprì la porta, la serratura era difettosa. In cucina la sveglia indicava le 12:15, un quarto d’ora di ritardo. Sul tavolino la confezione aperta dell’amato caffè “Iaquinta”. Un ramo ingiallito della palma sfiorava appena il vetro della finestra.

Giuda Dellera osservò tutto come fosse la prima o l’ultima volta. Poi si uccise impiccandosi in salotto, senza un motivo preciso, un perchè ragionevole. Un quarto d’ora di ritardo rispetto quanto pianificato cinque anni prima.

Ignazio Gori

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