Zeichen si racconta in un’intervista esclusiva
Ironia, sensibilità e creatività, ecco i segreti del poeta di Fiume

zeichen_valentino_zeichen_roma_3_1INTERVISTA ESCLUSIVA. Ho appuntamento con Valentino Zeichen in via del Babuino. Sono le dieci del mattino. E’ umido, ventilato, il cielo minaccia pioggia. Si presenta puntualissimo, in completo kaki, con ombrello sottobraccio. Ci presentiamo ed entriamo in un bar. Quella che segue è una piacevole – ma come tutte le cose poeticamente piacevoli, anche spietata – chiacchierata davanti a un caffè. “Bisogna sforzarsi di convivere il piu’ a lungo possibile con l’idea della propria morte, altrimenti questa rischia di morire con noi.” (Valentino Zeichen, “Metafisica tascabile”, Mondadori, 1997)

1- Secondo lei, la poesia è una scelta di emarginazione sociale?
Certamente, almeno in partenza. La poesia è un ingenuo contrapporsi all’ignoto. E’ un continuo prendere misure alla realtà, ma nonostante questo non ho mai litigato con la Poesia.

2-Lei si sente poeta in che senso?
Mi sento poeta in quanto possessore di una sensibilità multi-ruolo.

3-Qual è stato il complimento piu’ bello e l’insulto piu’ brutto che ha mai ricevuto?
Di solito me ne frego delle altrui considerazioni, siano esse belle o critiche. Soprattutto le negative mi lasciano del tutto indifferente. Riguardo i miei libri ho ricevuto buonissime recensioni da Paolo Mauri, Roberto Galaverni, Angelo Guglielmi ed Enzo Golino. Qualcuno mi ha definito uno “psiconazista”, qualcun’altro un “nazista della poesia” … Ripeto: me ne frego! E poi ci sono amici-nemici che mi hanno elogiato e in segreto combattuto per una vita: parlo di Cordelli, di Manacorda, che nel suo ultimo libro mi fa addirittura crepare … Ma questi personaggi fanno parte del mondo letterario.

4-Cosa significa pubblicare ancora poesia nel 2013?
Con il mio primo libro di poesia, “Area di rigore” del 1973, ho spezzato la sintassi e riscritto le regole per una moderna poesia, quella del post-avanguardia. Ora, alla luce di dieci libri pubblicati, non credo di avere altro da dire. Basta. Il mio ultimo libro edito da Mondadori si intitola “Casa di rieducazione”, volevo intendere che i ragazzi che finiscono in un riformatorio sono socialmente finiti, o quasi. Proprio come me.

5-La sua poesia è molto variegata, dalla forma epigrammatica degli “Aforismi d’autunno” ai versi più sciolti di “Casa di rieducazione”. Rispetta forse il suo eclettismo?
Forse sì. Ma quello che per me è più importante è avviare una strategia poetica mai apertamente e completamente diretta. Usare intendo. sempre l’ironia al punto giusto.

6-A proposito di questo, per lei è più importante il senso del comico o del tragico?
Ora tutto si è ridotto a una farsa, nel senso che dopo la seconda guerra mondiale, ultima tragedia moderna, tragico e comico non sono più generi ben definiti. Non è più stata scritta una commedia, nè una vera tragedia. Dopo Euripide e Aristofane non sono più esistite micro-commedie o micro-tragedie, che riguardavano ad esempio l’animo umano, ma solo macro-tragedie e macro-commedie. E’ così anche nella poesia. Insomma: è una questione di ricezione sociale.

7-Chi è per lei l’ultimo significativo poeta che abbiamo avuto?
Ho apprezzato molto Alda Merini. Anzi, è per me la più grande poetessa (uomini compresi) della seconda metà del novecento in Italia. E’ stata una grande incomparabile pop star. Aveva una memoria prodigiosa, nonchè un senso di improvvisazione poetica assimilabile ai più grandi jazzisti. E’ uscita dal manicomio sapendo cavar fuori dalla sua traumatica esperienza una mostruosa esperienza poetica. Ricordo che andavamo insieme al Maurizio Costanzo Show e Alda era più abile di un velociraptor nel catturare la telecamera … Una presenza simpaticissima e geniale.

8-Ha un augurio personale da rivolgere alla poesia e a quella risicata editoria che se ne occupa?
Ho un augurio per chi si accinge a scrivere o a continuare a scrivere: ovvero l’assoluta brevità e concisione di pensiero. Aveva ragione Moravia, acuto lettore di poesia, che mi definì “un nuovo Marziale nella Roma contemporanea”.

Ignazio Gori

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