“Giornalismo partecipativo o narcisismo digitale?” di Sara Stefanini

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Anno pubblicazione: 2012                       Leggi alcune pagine qui.
Formato: 14 x 21 cm                                          Per acquistare il libro clicca qui.
Numero pagine: 146
Prezzo: 10,00 euro

“Have you any news?”, è il secondo messaggio trasmesso da Samuel Morse, inventore del telegrafo. Importante per sottolineare come i mezzi di comunicazione siano indispensabili all’essere umano per rimanere sempre aggiornato. Essenziale per ricordare a chi critica Internet, che l’importante è comunicare. Internet è il veicolo che porta all’informazione, come tutti gli altri mezzi è necessario. Nei decenni la Rete ha acquisito sempre più dominio. E insieme a lei milioni e milioni di utenti divenuti protagonisti e rivestiti di responsabilità, situazione che non ha precedenti nella storia.

Il lavoro dell’autrice è stato quello di ricerca e analisi riguardo al giornalismo partecipativo. Alcuni cenni storici sono indispensabili, per addentrarsi nell’argomento principale. Dagli esordi della comunicazione fino alla primordiale forma del Web. Continuando, poi, dal 1999, anno temuto per il “baco del millennio” il quale ha dato luce al Web 2.0, per arrivare fino ai giorni d’oggi. Sono stati presi in esame siti e portali di vari paesi tra cui la Sud Corea con ohmynews.com, l’America con cnn.com, la Francia con agoravox.fr, l’Italia con liquida.it e altri ancora.

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Il giornalismo partecipativo ha dato voce a quei cittadini che sono sempre stati creduti passivi e avvolti dalla grande spirale neumanniana del silenzio. Ora possono dimostrare che i tempi stanno cambiando. Il ruolo del giornalista, muta insieme ad essi. Ci si può dunque chiedere, per dirla con Walter Benjamin, se il giornalista stia perdendo la sua aura. In realtà, non è propriamente così. Il giornalista sta semplicemente indossando un’altra aura. Dovrà condurre l’utente lungo una linea guida delle informazioni all’interno del caotico mondo digitale. Per documentare questo assunto, sono stati presi in esame saggi di esperti tra cui gli studiosi Bowman e Willis, il giornalista americano Gillmor, Rosen dell’università di New York, l’editore O’Reilly, il noto sociologo Bauman, il professore e ricercatore Carotenuto, l’amministratore della Casa Bianca Sunstein.

L’altra faccia della medaglia del grassroots journalism è il narcisismo digitale. Chiamato anche con il nome egosurfing, l’espressione è già presente nell’Oxford English Dictionary dal 1998 ed indica il presenzialismo su Internet. L’americana Pew Research Center ha effettuato delle ricerche racchiuse nel Digital footprint, documento che analizza le impronte digitali lasciate dagli utenti. È interessante notare quante informazioni sugli utenti si possono ricavare senza che essi stessi ne siano a conoscenza.

Il punto focale non sta nel paragone tra giornalismo partecipativo e mainstream ma nell’interrelazione e nella compresenza. Sono stati messi a confronto i modelli bottom-up e top-down, la teoria della coda lunga di Anderson con il teorema dell’economista Pareto. In più è stata delineata la Media Richness Theory di Daft e Lengel e rapportata ad altre teorie recenti sulle funzionalità e capacità dei due medium. Quindi, una volta verificati aspetti e caratteristiche di entrambi si è tentata una peculiare forma di convergenza.

Dan Gillmor afferma: “We can do journalism together. We already are”. Ormai, l’informazione si costruisce insieme, nel piccolo grande villaggio globale mondiale, unito dalla Rete. Quest’ultima ha reso l’intero pianeta glocale eliminando le distanze e dimezzando i tempi. Insieme alla tradizionale forma di giornalismo, quello partecipativo si deve impegnare a tenere costantemente informati i cittadini evoluti in cybernauti, con la speranza che, un lettore di oggi possa diventare lo scrittore di domani.

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