Cinema di genere. Intervista allo scrittore e sceneggiatore Antonio Tentori

AntonioTentoriLei è figlio di un poeta, questo mi fa piacere perché io amo molto la poesia, ma come si è avvicinato al mondo del cinema e quanto la poesia l’ha influenzata nella sua scrittura drammaturgica?

A.T. La poesia mi ha influenzato senz’altro perché ho iniziato scrivendo poesie. Mio padre, Francesco Tentori, oltre a essere poeta è stato anche traduttore di molti autori spagnoli e sudamericani (Borges, per fare un nome su tutti) e in casa si parlava spesso di libri, ma anche di cinema. Credo che la poesia, intesa come sensibilità e ricerca, continui a influire positivamente sulla mia scrittura, cinematografica e non.

Avendo studiato a fondo i generi e sottogeneri cinematografici italiani, e pubblicato a riguardo molti saggi d’approfondimento, quale genere preferisce, sia come semplice spettatore, sia come sceneggiatore? In quale si sente più “in the mood”?

A.T. Non è semplice rispondere, perché amo diversi generi italiani, anche alcuni che non esistono più, come il peplum o il western. Comunque è l’horror il genere a cui sono più legato, perché è il genere in cui ho esordito e quello che più di tutti dà la possibilità a un autore di inventare e osare, anche in fase di scrittura.

In riferimento al suo libro “Malizie perverse. Il cinema erotico italiano” (Granata Press 1993), quando fa risalire, con quali opere, questo specifico filone?

A.T. Una data iniziale del cinema erotico italiano non può esistere in senso stretto, piuttosto esistono date per i vari filoni. Per esempio la commedia sexy inizia nel 1973 con Malizia di Samperi o il decamerotico con la trilogia di Pasolini. Scene erotiche e di nudo compaiono già negli anni Sessanta, anche se ancora contenute. Dal momento che il cinema erotico italiano contiene così tanti sottogeneri, ritengo che per ognuno di essi ci sia una specifica data. Altrimenti si dovrebbe risalire al 1941 e alla famosa scena del seno nudo di Clara Calamai in La cena delle beffe di Blasetti!

Saprebbe stilare – anche e soprattutto per i neofiti – una sua personalissima TOP 10  del cinema erotico italiano?

A.T.

Malizia (Salvatore Samperi, 1973)

Diario segreto da un carcere femminile (Rino Di Silvestro, 1973)

Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974)

Caligola (Tinto Brass, 1979)

Emanuelle in America (Joe D’Amato, 1977)

La chiave (Tinto Brass, 1983)

L’alcova (Joe D’Amato, 1985)

La Bonne (Salvatore Samperi, 1986)

La peccatrice (Pier Ludovico Pavoni, 1975)

La liceale (Michele Massimo Tarantini, 1975)

 

In che modo si è distanziato, o in qualche caso mescolato, il cinema erotico italiano con il genere più estremo? Qualche esempio?

A.T. Negli anni Settanta le produzioni iniziarono a realizzare versioni differenti dello stesso film erotico, quindi le versioni estere contenevano scene più spinte, anche hard, di solito girate con altri attori. Un esempio può essere Emanuelle in America di Joe D’Amato. Poi si passò al cinema porno vero e proprio, ma intanto diversi film, anche un insospettabile giallo come Play Motel (di Roy Garrett, alias Mario Gariazzo, 1979, con la bellissima Anna Maria Rizzoli) erano stati distribuiti in questa doppia versione.

Prendendo Dario Argento, con il quale lei ha lavorato, l’eros ha avuto, soprattutto nella cosiddetta “trilogia bestiale” – ma anche in molto cinema horror – un ruolo importante nel suo cinema. Cosa ne pensa?

A.T. Ho dedicato a questo argomento un saggio che si intitola Dario Argento. Sensualità dell’omicidio (Falsopiano, 2002). L’erotismo nel suo cinema è un erotismo sui generis, spesso sublimato, altre volte (come nelle produzioni più recenti) visualizzato nelle sue componenti sadiche, bizzarre e crudeli. Si tratta quindi di un eros che da una parte va ricercato attraverso suggestioni e che dall’altra quando si fa esplicito viene graficamente esibito.

Lei ha dedicato un saggio edito da Castelvecchi a Joe D’Amato (Aristide Massaccesi) dal titolo “Joe D’Amato. L’immagine del piacere”. Avendolo conosciuto bene e avendoci collaborato, com’era di persona, che tipo di approccio professionale aveva con il cinema?

A.T. Il libro è stato rieditato e ampliato alcuni anni fa da Bloodbuster con il titolo Voglia di guardare. L’eros nel cinema di Joe D’Amato. Aristide era un uomo di cinema che viveva per il cinema. Era il suo mondo, la sua casa. Un grande professionista e un autore eclettico, che aveva una spiccata predilezione per l’horror. In questo genere ha dato i suoi lavori migliori. Penso a cult come Buio Omega del 1979 o Antropophagus uscito l’anno successivo. Non a caso, poi, come produttore ha fatto esordire alla regia Michele Soavi con Deliria (1987) e ha prodotto film horror di Fulci, Lenzi, Montefiori, Fragasso, Lattanzi e Laurenti … Come persona era sensibile e umano, gli piaceva scherzare ed era il primo a non prendersi  mai sul serio. Umile, come tutti i veri grandi.

Quali sono secondo la sua opinione – soprattutto riguardo il genere erotico – le opere migliori di D’Amato?

A.T. La serie di Emanuelle nera con protagonista Laura Gemser e i film erotici retrò quali L’alcova, Il piacere e Voglia di guardare. Per quanto riguarda il porno sceglierei invece tra i primi, quelli girati a Santo Domingo nel 1980, come Sesso nero. Anche nel cinema hard riusciva a fare un film con una storia, personaggi e ambientazioni. Un aspetto che ha mantenuto fino alle ultime produzioni, che erano veri e propri kolossal, anche in costume.

Quali sono i limiti che si imponeva e quelli che ha infranto il cinema prolifico di D’Amato? E qual è la sua eredità?

A.T. Il cinema di Joe D’Amato è un cinema estremo, senza limiti. Ha infranto sicuramente la censura, che li vietava ai 14 e molto spesso ai 18 anni. Non ritengo che abbia eredi, perché era unico. Non ci sarà un altro come lui.

Potrebbe essere magari paragonato – punti d’incontro? – con altri autori stranieri di genere come lo spagnolo Jesus Franco, o gli americani John Waters o Russ Meyer?

A.T. Può esserci un paragone tra il suo cinema e quello di Jess Franco. Soprattutto per i generi principalmente praticati da entrambi, ovvero l’horror, l’erotico e il porno. E anche per quella incredibile attività che li portava a girare un film dietro l’altro. Ma le similitudini finiscono qui. Sono due registi diversi, ognuno con il proprio stile e il proprio linguaggio espressivo.

Come si è evoluto, cambiato, il cinema di Bruno Mattei? (Del quale ho amato molto “Violenza in un carcere femminile” del genere WIP, co-diretto da Claudio Fragasso, altro regista molto interessante …). Cosa lo differisce da D’Amato?

A.T. Il cinema di Bruno Mattei è cambiato con l’avvento del digitale, che ha sostituito la pellicola. Come tematiche i suoi film non sono cambiati, nel senso che rimangono film di “exploitation”. Orrore, sesso, violenza e sangue sono le tematiche che Bruno ha spesso affrontato nel suo cinema. E sono anche le stesse di Joe D’Amato. Non è un caso che i due registi abbiano anche lavorato insieme in alcune occasioni, come in Emanuelle e Francoise. Le sorelline (1975). Si differenziano nello stile, che rimane inconfondibile per ognuno dei due e che si evidenzia a partire dalle prime immagini di un loro film.

Da una parte la decadenza del cinema erotico, e dei suoi vari sottogeneri, e dall’altra l’industrializzazione telematica del porno. Secondo lei questi due aspetti sono direttamente collegabili?

A.T. Purtroppo sì. La fine del cinema erotico inteso come genere è avvenuta gradualmente, perché all’inizio ha dovuto confrontarsi con il cinema hard. Poi però entrambi sono stati superati dal sesso in rete, per cui la fruizione ha cambiato nel tempo destinazione. Non esistono quasi più le sale a luci rosse, così come non sarebbero disponibili sale dove distribuire film erotici, basti pensare all’ultimo film di Tinto Brass, Monamour (2005) che è uscito direttamente in home video. Quindi parliamo di un fenomeno esistente già da una quindicina di anni.

Ragionando similmente, cos’è cambiato in maniera decisiva nel cinema horror? Perché non si riesce più a produrre un certo cinema horror autoriale, del tipo di “A Venezia un dicembre rosso shocking”? Da sceneggiatore di questo genere, cos’è cambiato nella “graduale metrica della paura”?

A.T. Ritengo che il discorso sia sostanzialmente diverso per quanto riguarda il cinema horror. È vero che come genere sta da tempo attraversando periodi difficili, ma è altrettanto vero che esiste una fertile produzione di horror indipendenti che riescono anche a uscire nelle sale per poi passare all’home video. Oggi per fortuna i film possono essere distribuiti sulle varie piattaforme, oltre all’home video, e naturalmente c’è sempre il mercato estero. Servirebbe invece una maggior lungimiranza da parte dei produttori, perché il genere horror possa tornare ad avere una maggiore visibilità ed essere un buon investimento.

In che modo le abitudini e le tendenze sessuali, dati dalle mode, dai mutamenti razziali della società e del gender – basta guardare al mondo trans – hanno influenzato l’evoluzione o meglio l’involuzione del genere erotico?

A.T. Forse questi aspetti riguardano soprattutto il cinema porno, anzi l’attuale post-porno. Nel senso che il cinema erotico italiano inteso come genere non esiste più, mentre i nuovi mutamenti a livello sociale si sono riversati appunto nel post-porno che presenta una sessualità fluida, in divenire, senza più gli schemi precisi di un tempo.

Il cinema di Tinto Brass, intendo la seconda parte della sua produzione, quella post “La chiave” – il sesso goliardico, come leggera e gioiosa scoperta – avrebbe ancora senso nell’Italia di oggi?

A.T. Credo di sì. Di un erotismo solare e ludico ce ne sarebbe proprio bisogno in un’epoca cupa e moralista come quella che stiamo vivendo adesso. Ma ci dovrebbe essere un nuovo Brass e sinceramente non ne vedo, né in Italia né all’estero.

Io ho conosciuto e intervistato Umberto Lenzi, regista ormai stracult. Lenzi sosteneva, che tra tanto cinema “alimentare”, il cinema italiano di genere avesse prodotto grandissimi film, alcuni capolavori; ma gli ultimi anni hanno dimostrato un appiattimento dei generi, la scomparsa di molti di essi. Perché secondo lei questo processo di omologazione commerciale del cinema? Ci sono, nell’erotico, nell’horror, delle nuove frontiere, delle nuove avanguardie?

A.T. Lenzi aveva ragione. La graduale scomparsa dei generi è stato un impoverimento del nostro cinema. Non si possono produrre soltanto commedie e film d’autore (o presunti tali). Ma ci dovrebbe essere una nuova regolamentazione del cinema, che permetta a tutti di poter produrre e distribuire i propri film.

 

 

 

Lascia un commento