“L’ultima moglie di J.D. Salinger” di Enrico Deaglio

Devo fare una premessa. Per carità, non è mia intenzione sminuire o infangare tutte le varie interpretazioni, o meglio sarebbe dire tentativi di interpretazioni, del titolo incriminato. Ma “The Catcher in The Rye” è stato preso da J.D. Salinger, lo zio d’America, il solitario zio Jerry, direttamente dallo slang del mondo del baseball. Significa “Il Catcher nella segale” e allude al ruolo di ricevitore nel baseball, sport amato da Salinger (vedesi il romanzo “Shoeless Joe” di P.W. Kinsella) e più precisamente a un catcher inginocchiato in un campo di segnale.

Ora, siccome la segale cresce alta, circa un metro da terra, ed essendo la posizione di gioco del catcher inginocchiata dietro il piatto di casa-base, gli sarebbe difficile scorgere la palla in arrivo. È dunque questo un modo di dire per indicare l’impossibilità di giocare in una situazione ben precisa; mentre a volte viene anche usato anche in riferimento alla mancanza di abilità tecnica di un catcher, incapace di ricevere i “lanci pazzi” dei lanciatori più scoglionati.
Ecco, l’ho detto, ora i salingeriani possono anche dilaniarmi, ma lo dovevo al mondo del baseball e a me stesso, perché tutte le altre possibili traduzioni o interpretazioni del suddetto titolo – volte per far comprendere meglio il suo significato recondito, ma spesso appena capaci di confondere maggiormente il lettore – hanno per me, e spero anche per molti altri, ambiguo valore. Resta ovviamente aperto il punto su cosa Salinger volesse alludere usando questa espressione slang. E per questo motivo che consiglio caldamente di leggere “L’ultima moglie di J.D. Salinger” di Enrico Deaglio (Marsilio, pp. 128, Euro 12), il quale confeziona una spassosissima operetta, un bocconcino goloso per tutti i salingeriani.
Mi pare superfluo dire che l’autore stesso, salingeriano doc, si sia divertito a tributare, in un modo sublime e divertente, il suo mito letterario (“J.D. Salinger mi tiene compagnia da sessant’anni, è un mio grande amico”); un mito sempre più insondabile. La trama mescola verità e immaginazione, personaggi realmente esistiti e altri cuciti su misura da Deaglio da situazioni e tessuti storici verosimili, ma pur sempre immaginari. Mike Simonetti, agente FBI della sezione “crimini letterari”, viene incaricato di indagare sulla vita privata di Salinger, il più oscuro autore della letteratura americana del ‘900, autore appunto del supermegabestseller “The Catcher in the Rye” (in Italia come “Il Giovane Holden” – titolo appiattito che non ho mai amato, ma questo forse l’avrete capito dalla premessa baseballistica). Simonetti, il classico paisà italoamericano, si reca dunque a marcare stretto il professore in Letteratura Comparata della NYU, John Taliabue, altro paisà e alter ego di Deaglio, perfettamente calzante tra l’altro, grande esperto salingeriano, anni prima facente parte di una confraternita di fedelissimi chiamati i “Dead Caulfields” (per rifare il verso alla Setta dei Poeti Estinti del film “L’attimo fuggente”) e poi, in seguito a un primo scioglimento, resuscitati sotto il nome di “Caulfields Resurrected”. Il pathos della vicenda ruota attorno a una questione spinosa, da intrigo internazionale, a metà strada tra Hitchcock e Paco Ignacio Taibo II: quali sono stati o sono ancora i rapporti di Taliabue con la “komunista” Olga Simoneova? La russa infatti, neo traduttrice in patria del Catcher, è sospettata dall’FBI di aver rubato (per il KGB?) gli inediti di Salinger, e magari averlo costretto a cederle il tutto con un raggiro che l’avrebbe addirittura portato a sposarla prima di morire (la morte dello scrittore è avvenuta nel 2010, a Cornish, New Hampshire, dove si era ritirato in totale isolamento per oltre cinquant’anni con sua moglie).
Siamo a un assurdo storico che avrebbe affascinato anche Philip Dick: forse i komunisti hanno le bozze del seguito del romanzo più letto del ‘900? E Putin potrebbe usarle per ricattare l’America di Trump?
Deaglio imprime il libro di una sottile ironia. Si diverte moltissimo e si capisce da come mette il dito nella piaga, paragonando questo ipotetico e illegittimo possesso russo (perché Dio, come recita una nota ballata di Bob Dylan, è sempre dalla parte degli yankees), a una nuova bomba atomica o addirittura, espressione più poetica, all’avere in tasca il monopolio dei sogni dell’adolescenza del mondo intero.
Come finisce la contesa tra il prof. Taliabue e l’agente Simonetti?
E la Simoneova ha davvero più facciate e identità che strati una matrioska?
Chi è la Leah cui il libro è dedicato, protagonista di un racconto pre-Catcher, che lo stesso Salinger avrebbe voluto epurare per sempre?
Non svelo la fine, ovviamente, perché “L’ultima moglie di J.D. Salinger” va comprato e spifferato con il PassaParola, guarda caso nome della collana di Marsilio in cui è inserito. È una deliziosa “piccola pazzia”. Un vizietto che dura appena un’ora di lettura, ma che apre un universo.

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