“L’ebreo della neve” di Giuseppe d’Ambrosio Angelillo

L'EBREO NELLA NEVE 3Giuseppe d’Ambrosio Angelillo è una di quelle persone che capita raramente di incontrare. Poeta dai mille mestieri e dalle mille risorse, guardandolo negli occhi si ha la sensazione di scorgere splendidi tramonti normanni e orizzonti di grigi scenari metropolitani, quelli della sua Milano, dove vive da anni e dove ha fondato una particolarissima, piccola case editrice, composta da un solo elemento, lui stesso.

La casa editrice prende il nome dal suo paese di origine Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari. Così dopo innumerevoli libri di poesie e romanzi e saggi, il testo che voglio proporre ai lettori di Kaleidoscopia è un lavoro corposo, “L’ebreo della neve” (Acquaviva, pp. 600, Euro 14,00) seicento pagine che non devono spaventare gli amanti della “gloriosa brevità”, perchè la prosa di Giuseppe d’Ambrosio Angelillo scorre via come una fresca Heineken d’agosto, o come due chiacchiere al bar, con l’amico o anche con il nemico di turno, o semplicemente un avventore, ansioso di raccontare le sue ansie o di stare a sentire le tue “survivor’s escape”.

Perchè i racconti che vanno a comporre il libro sono delle vere e proprie fughe di sopravvivenza, fughe da una quotidianità metropolitana angosciosa, opprimente, squallida ma dopotutto poetica. Si nota nel linguaggio personalissimo, che sembra non tener presente nessuno schema narrativo convenzionale, espressioni gergali, appartenenti al linguaggio parlato. Ma è proprio qui la magia di d’Ambrosio Angelillo, il saper parlare di Spinoza, di Dostoevskij, di Heidegger, facendo fluire concetti filosofici intricatissimi con la semplicità linguistica che userebbe (analisi realistica dello stesso autore, che sintetizza nel testo le sue vere esperienze di vita milanese) uno spiantato sognatore alle prese con i problemi quotidiani del sopravvivere, tra accattoni, voltafaccia e cannibali di un mondo suburbano che richiama quello di Charles Bukowski, autore di culto che lo stesso d’Ambrosio Angelillo ha conosciuto di persona.

Bukowski in questo romanzo sembra essere il punto di riferimento, (basta leggere lo splendido “Bar dei cinesi”, che apre il romanzo) soprattutto riguardo l’amara ironia nei confronti della realtà e al contempo la capacità di uscirne sempre e comunque “vincitore”. Vincitore di una solitudine intoccabile e preziosa.

Ignazio Gori

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