Poliziesco e cannibalismo: ecco il cinema di Umberto Lenzi

downloadKaleidoscopia.it intervista Umberto Lenzi, regista “stracult”, entrato nella leggenda della cinematografia “di genere” internazionale, amato e ammirato da Quentin Tarantino e dalle nuove generazioni di cineasti.

Che ruolo ha avuto la letteratura nella sua carriera cinematografica?

Lenzi. “Non ha avuto un ruolo determinante, infatti le mie uniche incursione letterarie sono state le trasposizioni di tre romanzi del mitico Salgari. Da giovane ero appassionato di letteratura, essendo anche stato molto amico di Bianciardi e Cassola. Per quanto riguarda altri gusti personali, non posso nascondere la mia passione per Simenon e in particolare per la serie dei gialli di Maigret e poi anche dei gialli “hard boiled” di Raymond Chandler, il quale ha ispirato non poco i miei recenti libri.”

Molti definiscono il suo cinema “estremo”. Ha mai avuto a tal proposito problemi di censura?

Lenzi.”Tranne qualche sequenza dei miei film “cannibalici” e altre ad esempio del poliziottesco Napoli Violenta, non direi che il mio cinema sia estremo. Con la censura poi non ho avuto grossi problemi. Riguardo i miei thriller erotici, quelli con Carrol Baker per intenderci, le scene di nudo all’estero le lasciavano integrali, mentre per il mercato italiano venivano leggermente pulite, ma niente di particolarmente influente.”

Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato è da molti considerato il capostipite del genere “cannibalico”. Lei è d’accordo?

Lenzi. “No. E’ falso! La prima scena in assoluto di questo genere compare in un mio film del 1972, Il Paese del Sesso Selvaggio, che in inglese si intitolava The Man from the Deep River. La scena cui faccio riferimento tratta della folle psicosi di una tribù cannibale. Questo film ebbe un tale successo in Germania, con il titolo di Mondo Cannibale, che i tedeschi mi chiesero di girare un altro film interamente ambientato in una tribù di cannibali. Ma non mi misi d’accordo con il coproduttore italiano, il quale affidò l’incarico a Ruggero Deodato, il quale girò Ultimo Mondo Cannibale nel 1977 e poi appunto Cannibal Holocaust, il quale, e su questo devo essere sincero, è il miglior film di questo genere. Tre anni dopo, realizzai un film che riprendeva il tema del cannibalismo, Mangiati Vivi, partendo da un fatto eclatante di cronaca avvenuto nella jungla della Guyana, dove era confluita la setta del Reverendo Jones, un folle alla Generale Kurtz (Apocalipse Now), il quale spinse questo suo gruppo di esaltati seguaci a un apocalittico suicidio di massa. E per ultimo scrissi e diressi nel 1980 il truce Cannibal Ferox, che ebbe un successo planetario.

Quali sono stati i film più difficoltosi e a quali lei è più legato?

Lenzi. “Quelli a cui sono più legato sono Milano Odia: la Polizia non può Sparare e Napoli Violenta, considerati dei capolavori assoluti. Mentre i più difficili da girare sono certamente i film di guerra, pensi solo che una volta non c’era l’aiuto del computer e dunque si doveva inscenare tutto, persino le esplosioni che erano molto pericolose. Alla guerra ho dedicato divese pellicole ma quelle di cui vado più fiero sono: Contro 4 Bandiere e Il Grande Attacco, i quale potevano annoverare un cast stellare, John Huston, Henry Fonda, Helmut Berger, Giuliano Gemma, Sam Wanamaker, George Hamilton e Samantha Eggar, entrambi girati a Hollywood e Parigi.

Mi saprebbe indicare i registi “di genere” che più ha stimato?

Lenzi. “Sicuramente Lucio Fulci, un genio. Eccellenti anche Giulio Questi, Damiano Damiani, Romolo Guerrieri, Sergio Martino, Duccio Tessari, i mitici Dario Argento e Mario Bava, il maestro e amico Carlo Lizzani, il quale mi ha anche presentato due miei romanzi … Stimo moltissimo anche Giuliano Montaldo, il suo Sacco e Vanzetti è un film coraggioso, come non ce ne sono più. Mi piacciono molto meno autori come Pasquale Squitieri, Luigi Bazzoni e Maurizio Lucidi”.

Perchè secondo lei suoi film sono così apprezzati dal pubblico americano e dalle ultime generazioni di giovani?

Lenzi. “Perchè il mio è cinema VERO!!! Sono film moderni, con l’elemento sempre ben presente del dramma sociale, ma allo stesso tempo si rifanno alle origini del cinema americano, ai classici “gangster moovie” … Io cercavo di miscelare il realismo del cinema italiano allo show de noir americani; un classico esempio di questo tipo di operazione è senz’altro il film del 1979 Da Corleone a Brooklyn, con l’esplosiva coppia Maurizio Merli e Mario Merola. Per questo il mio cinema è molto amato da Quentin Tarantino … L’ultimo grande film di questo genere è secondo me Heat: la Sfida, di Michael Mann con la coppia Pacino-De Niro. Purtroppo devo anche dire che ci sono stati filoni “modaioli” che hanno svilito i film autentici, come Bruno Corbucci con i suoi film “farsa” sul personaggio de Il Monnezza, ideato da me e Tomas Millian, o la coppia Bud Spencer-Terence Hill che scimmiottava il grande western all’italiana di Leone …”.

Lei ha diretto attori di culto: Joseph Cotten, Lou Castel, John Huston, Jean-Louis Trintingnant, Carroll Baker, Anita Ekberg, Steve Reeves .. e ovviamente Tomas Millian. Ma c’è un attore con il quale ha stretto un feeling particolare?

Lenzi. “Non ho mai stretto feeling particolari con i miei attori. I rapporti erano prevalentemente professionali. Ma se devo precisare devo ammettere che ho stimato maggiormente gli attori americani rispetto agli italiani. Per gli americani il copione è come una bibbia da venerare, discutono fino all’ultima parola col regista, dimostrando estrema professionalità e rispetto dell’opera; mentre gli italiani purtroppo sono più approssimativi e confusionari, questo è una grave pecca. Ai tempi d’oggi siamo arrivati al punto in cui il regista è ostaggio dell’attore, una cosa inaccettabile.”

Lei si è sempre considerato anarchico. Considera i suoi film anarcoidi?

Lenzi. “Devo correggerla, mi sono sempre “professato” anarchico, ma per quanto riguarda i miei film sono sempre stato attento a non mescolare professione con ideologia. Forse solo in un paio di film ho chiaramente patteggiato per il disperato, per il diverso, per il perdente … Io non ho mai fatto film impegnati politicamente, e non è certo facile lavorare da “outsider”, fuori dal gregge. Ci tengo a precisare però che nonostante questo io non ho mai fatto film con i soldi del governo, ma con i soldi di chi pagava il biglietto. Questo mi rende orgoglioso della mia carriera.”

Ignazio Gori

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