Renzo Rossellini e il cinema: “Il Cinema d’Autore non e’ finito, sono finiti gli spettatori del Cinema d’Autore”

RenzoRossellini1_450Iniziamo da suo padre. In un articolo apparso su L’Avvenire il 3 Dicembre scorso, il giornalista Fulvio Fulvi dipana una interessante spiegazione dei valori “cristiani” nel cinema di Roberto Rossellini, e in particolar modo prende ad esempio “Roma città aperta” e la figura di don Pietro Pellegrini, martire “cristiano”, che sfida il Male a fronte alta. Ragionando anche su un film dall’innegabile cristianità, come “Europa 51”, lei è d’accordo con questa analisi del cinema di suo padre?

“Certamente, ma per ragioni diverse. In “Roma Città Aperta” mio padre diceva di sentirsi come una sartina che doveva rammendare il grande strappo in un’Italia lacerata da una guerra civile rimettendo insieme le due grandi Anime popolari del paese: quella Comunista e quella Cattolica e lo fa con “Francesco Giullare di Dio” del 1950 e con il successivo “Europa 51” realizzato nel 1951. Irene (Ingrid Bergman), come San Francesco si spoglia dei suoi beni per dedicarsi ai poveri, ma nel medioevo Francesco diventa santo, mentre nel mondo moderno chi fa’ certe scelte finisce in manicomio. Sono due film sulla santità e mio padre ne aveva anche in progetto un terzo”.

Che ruolo hanno il dolore e la speranza nel cinema di Roberto Rossellini?
“Io divido il cinema di mio padre tra il Prima e il Dopo la morte di mio fratello Romano (deceduto per appendicite nel 1946), quell’immenso dolore lo ha modificato e nei suoi film successivi al 1946 sente un bisogno di interpretare i grandi misteri della vita e della morte”.

Lei ha prodotto opere di Fellini, Antonioni, Losey, Rosi, Bergman, Tarkovskij, Cavani, Ferreri … ma qual è stato il singolo film che più l’ha impegnata?
“Non posso dire quale mi ha impegnato di più. Mi sono sempre dovuto impegnare moltissimo per produrre un film, tutti i film sono difficili per un produttore, il quale non si deve occupare solo di finanza e organizzazione, ma deve essere l’interfaccia degli aspetti creativi ed estetici, in costante dialogo con sceneggiatori, regista e direttore della fotografia”.

Tra i moltissimi film che lei ha prodotto voglio soffermarmi su “Dimenticare Venezia” di Franco Brusati. Era un film che trattava l’argomento della omosessualità, sia maschile che femminile. Ci saprebbe dire che valore ha per lei e per la società odierna, questo film? E quali sono state le difficoltà dell’epoca?
“Allora come oggi affrontare problemi come quelli della sessualità è un grosso problema perché in Italia non abbiamo ancora generato una cultura priva di pregiudizi. Siamo prigionieri dei pregiudizi e di ignoranza in materia di amore e sentimenti, materie che sarebbero da insegnare a scuola”.

Del cinema purtroppo si parla sempre più spesso come mero intrattenimento, ma partendo ovviamente da registi come suo padre, Francesco Rosi, o Marco Bellocchio, lei crede nel valore “civile” del cinema? E più in generale, è finito davvero, come dicono, il “Cinema d’Autore”?
“Il Cinema d’Autore non e’ finito, sono finiti gli spettatori del Cinema d’Autore”.

Partendo dalla sua esperienza di produttore, crede che il cinema di oggi possa coniugare ancora i valori del “cinema d’autore” con le imprescindibili esigenze commerciali? Ovvero, quale è secondo lei la sorte del cinema di prossima generazione?
“Io credo che la soluzione stia in Europa. In Europa siamo piu’ di 600 milioni, il doppio degli abitanti di USA e Canada messi insieme, 600 milioni di spettatori potenziali, se esistesse ovviamente una Unica Distribuzione Europea Cinematografica. La soluzione starebbe nel creare un’Europa delle Culture, non solamente una Europa di unicità monetaria”.

Quale sarebbe un suo più intimo e sincero consiglio a un regista che arriva a proporre la sua prima opera? Potrebbe sintetizzare dunque il suo consiglio con un augurio ai giovani cineasti?
“Siate arrabbiati con ciò che vi circonda e rappresentate la vostra rabbia!”

Ignazio Gori

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