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Free press: il futuro della stampa gratuita

Tra chiusure e innovazioni al festival del giornalismo di Perugia si è discusso del presente e del futuro della stampa gratuita.

Ogni mattina più di un milione e mezzo di italiani afferrano una copia di un giornale free press la cui formula si basa su due elementi semplici ma efficaci: il formato è snello e maneggevole al fine di renderlo leggibile anche in posizioni scomode, proprio come accade in metro o in bus; il giornale è fatto per essere letto giusto quei 20 minuti circa che si impiegano per arrivare a destinazione.


L’idea di un giornale completamente gratuito, finanziato interamente da introiti pubblicitari, arriva come una bomba nel panorama editoriale italiano nel luglio del 2000: Metro esce per la prima volta a Roma distribuito fuori dalle stazioni ferroviarie e metropolitane. Da quel momento è stato un crescendo con la nascita di altre testate quali Leggo e Dnews.

La crisi ha colpito anche la free press. La chiusura di City ed Epolis dimostrano come il futuro rimanga incerto. Mikael Jensen, fondatore di Metro, è invece ottimista: il suo giornale, lanciato più di vent’anni fa, conta ogni giorno 17 milioni di lettori ed è pubblicato in 4 continenti, 22 paesi e 100 città: «Nonostante i lettori cerchino di soddisfare la loro sete d’informazione attraverso i nuovi strumenti offerti dalla telefonia mobile e internet, bisogna fare di tutto e devi essere sicuro che esistano un certo numero di lettori che, pur tuttavia, continuano a dedicare 15-20 minuti del loro tempo alla lettura dei free press. Il fatto che siano gratuiti non implica la mancanza di qualità, la free press può essere una palestra di buon giornalismo».

Il gruppo Metro è in controtendenza: il free press più diffuso al mondo è stato lanciato lo scorso anno in Perù, Colombia e Guatemala. Prossima sfida la Cina.

Alessandro Filippelli

Co.In: comunicare l’integrazione

I giovani giornalisti praticanti della Lumsa partecipano alla Spring school come relatori esperti sul tema dell’immigrazione

Migliorare l’approccio dei media sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione.  È stato questo l’obiettivo del seminario promosso da Italia Lavoro, agenzia tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, nell’ambito del progetto Co.In –Comunicare l’Integrazione, finanziato dal Fondo Europeo per l’integrazione dei Cittadini dei Paesi Terzi-linea.

Dal 20 al 22 aprile a Monte Porzio Catone, in provincia di Roma, si è tenuta la Spring School rivolta a giovani a giornalisti, allievi delle scuole di giornalismo di Perugia, Roma e Salerno riconosciute dall’Ordine dei giornalisti, che hanno partecipato in qualità di relatori esperti per analizzare il ruolo fondamentale dei media nella rappresentazione del fenomeno migratorio contribuendo con la loro azione a facilitare l’integrazione nella società italiana.

All’evento erano presenti dodici allievi del Master in giornalismo dell’Università Lumsa di Roma, selezionati a seguito di un concorso che ha valutato tramite una commissione i migliori articoli, inchieste e reportage, inerenti al tema dell’integrazione e l’immigrazione.

Il seminario puntava a sensibilizzare i giornalisti nel veicolare in maniera completa e obiettiva le informazioni relative al tema in questione analizzandolo secondo 4 aspetti principali: la cornice giuridica e quindi diritti e doveri; gli immigrati e il mercato del lavoro in Italia; partecipazione e politiche d’integrazione; e l’immigrazione raccontata dai migranti.

Tra i presenti ad analizzare il fenomeno dell’immigrazione a tutto campo, dal contesto europeo a quello italiano, c’era Mario Morcellini, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università La Sapienza di Roma: «La storia degli uomini è caratterizzata dal loro continuo movimento. Non c’è paese che non sia interessato dal fenomeno migratorio. L’Italia è sempre più luogo di residenza stabile per numerosi stranieri, – poi ha aggiunto – i migranti rappresentano una componente importante nella nostra società, non solo dal punto di vista economico-lavorativo ma anche all’interno di altri contesti quali la scuola, attraverso la crescente consistenza delle seconde generazioni».

Nella giornata conclusiva il presidente della Fnsi, Roberto Natale, ha ricordato come spesso i media, quando parlano di immigrazione «tendono spesso a farlo in termini di questione giudiziaria e di cronaca», di conseguenza i temi come l’integrazione che «non si prestano alla drammatizzazione vengono trascurati». L’Ordine nazionale dei giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa hanno approvato nel 2008 la Carta di Roma, protocollo deontologico riguardante richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. Il ragionamento di Natale è stato chiaro: «La Carta di Roma non chiede ai giornalisti di essere buoni nei confronti degli immigrati, ma di fare i giornalisti, rispettando la verità dei fatti parlando di tutto ciò che c’è nella cronaca, ma senza disparità».

Alessandro Filippelli

 

L’ex direttore di Al Jazeera: «Dobbiamo accantonare il vecchio modello giornalistico e inventarne un altro»

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Internet e la tecnologia stanno cambiando, lo si voglia o no, l’impostazione standard che aveva il giornalismo. Wadah Khanfar, ex direttore di Al Jazeera, tiene un panel al Festival del Giornalismo a Perugia e ritiene che la trasformazione cambierà il modo di gestire le redazioni, le notizie e l’agenda setting stessa. «Dobbiamo ripartire da zero con nuove iniziative con un’organizzazione più orizzontale», puntualizza Khanfar, bisogna quindi reinventarsi e rimettere in discussione quel modello che finora era sempre stato un must. Il modello piramidale cesserà di esistere per lasciare spazio al modello orizzontale, più democratico, creativo e decentrato. Auspica un futuro senza monopolio politico che, invece, è stato protagonista nei decenni passati.

«Be close to the people», stare vicino alla gente comune. Solo in questo modo i media possono evolversi. E continua così: «Il vero giornalismo investigativo è quando i giornalisti stanno in mezzo alla gente. Il cattivo giornalismo morirà perché sarà costoso. I giornalisti somiglieranno più a un analista che a un watchdog». Il controllo dei nostri dati, il data mining, aumenterà sempre più, dato che enormi database personalizzeranno gli streaming mediali: il cosiddetto narrow casting, la personalizzazione in base a come percepiamo le notizie.

Wadah Khanfar crede così tanto nel progresso e nel futuro che ha dovuto dimettersi dalla grande emittente araba con sede nel Qatar, dove non è possibile far entrare una ventata di cambiamento. Certo, in modo molto obiettivo, afferma che bisogna rivedere anche il sistema economico perché è ovvio che siti come Cnn, Bbc o altri non possono essere fruiti gratuitamente e l’introito finanziario non può provenire solo dalla pubblicità. Quindi, i media devono mettersi a tavolino e partorire un sistema economico-finanziario ottimale per la fruizione sul web.

In ultima analisi, non manca un commento alla situazione nella quale si trova il suo paese ed il mondo arabo. Per lui la primavera araba va sommata all’inverno arabo ed il risultato è il risveglio arabo. Si dice contento di ciò e dice agli europei che ci vuole tempo affinché la trasformazione completa avvenga, ma si sta andando verso la direzione giusta. D’altronde, anche dopo le rivoluzioni avvenute in Europa, ci sono voluti decenni affinché il cambiamento si consolidasse.

Sara Stefanini