Il maestro del teatro italiano Paolo Poli si racconta: “Amo le persone non importanti, perché sono quelle vere”

21-paolo-poli-paginaPaolo Poli, leggenda del teatro italiano, mi da’ appuntamento a casa sua, in via del Governo Vecchio, a due passi da Piazza Navona. Mi accoglie con una eleganza unica, inimitabile, una signorilità d’altri tempi. Il tono della voce è vivace, con guizzi di frizzante teatralità che affascina e ipnotizza. A tratti accademico, come un professore in pensione alle prese con un giovane sbarbatello, a tratti invece ironico e sagace, come la caricatura di una dama da salotto vittoriano. I suoi ricordi, minati di squisiti pettegolezzi, si fanno letteratura e starlo a sentire diventa un’estasi di delizia.

NATALIA GINZBURG L’HA DEFINITA “UN LUPO IN PELLI D’AGNELLO”. LEI SI RISPECCHIA IN QUESTA DEFINIZIONE?
Io non mi definisco affatto. Vivo solamente la mia vita, sono gli altri a dare le etichette. Ricordo che a dieci anni una sera tornai tardi a casa e mio padre mi aspettava arrabbiato. Io allora presi la palla al balzo e dissi, appena me lo vidi inferocito davanti: “Ecce lupus in fabula!”. Papà mi disse che quando ero in difficoltà allora usavo il latino, perché sai, allora il latino era una sciccheria per intellettuali e saperlo recitare dava un tono regale. Tornando alla Ginzburg lei era una donna spiritosa e oltre ai fiocchi che mettevo in testa ammirava la mia intelligenza. Io fui il primo che volli fare una trasposizione teatrale del suo libro Piccole virtù e solo troppo tardi Natalia apprezzò quell’idea. Comunque la lezione è che non si deve mai domandare agli altri ciò che si è. È una operazione pericolosa. Una volta ad esempio in Rai mi convocarono per dirmi se ero socialista, io risposi di no, che ero comunista, ma mi lasciarono stare, forse perché ero troppo bravo. Debbo dire che, al di là delle definizioni ed etichette, tutti sono soggetti ad involuzioni (in negativo, s’intende), persino Giotto, da vecchio aveva subito una naturalissima involuzione, ce lo racconta il prof. Roberto Longhi. E se l’avuta Giotto, perché non dovrei averla io? La bellezza d’altronde è presente anche nel dolore, come un bellissimo gemito.

QUALI SONO STATI, NELLA SUA CARRIERA, I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI DI RECITARE “EN TRAVESTI”?
Il recitare “en travesti” è stata una scelta di ripiego. Negli anni ’50 c’erano tutte queste “prime donne” insopportabili, nascevano i teatri stabili ed io ero sempre più disgustato dai capricci delle attrici, io stimo le caratteriste, ma ripeto, le “prime donne” non mi sono mai piaciute. Iniziai a fare teatro parrocchiale – perché allora c’era ancora il timore per il cinema: arte diabolica – e in seguito escogitai anche un tipo di teatro culturale, dopo aver visto recitare Rossano Brazzi, grande attore del periodo fascista. Così, costretto anche da un periodo di miseria, mi inventai questo primo mio personaggio “en travesti” e feci la Santa Rita da Cascia; quella fu la prima volta che recitai per due ore travestito. Era una cosa ben diversa dagli sketch televisivi e cinematografici di Tognazzi e Vianello e infatti fui fermato per “vilipendio alla religione di stato”. Riguardo i miei ruoli “en travesti” – e nonostante abbia interpretato la Maddalena nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini – un giornalista cretino anni fa mi chiese se volevo essere donna. Io gli risposi di no, dicendo che il carnevale di Viareggio (nel senso delle pagliacciate gay) non mi è mai piaciuto. Un conto infatti è portare fiocchi e lustrini in scena, un altro conto è nella vita di tutti i giorni.

COSA NE PENSA DEI GIOVANI E DEL TEATRO?
Non credo che sia tutta colpa dei giovani se il teatro non li attira, io credo che bisogna saper attirare l’attenzione dei giovani, stimolare la loro curiosità, inevitabilmente in evoluzione. I giovani hanno la loro curiosità. Per quanto mi riguarda i giovani vengono a vedermi in branco, come i topi. Bisogna essere fieri e artisticamente aristocratici, solo così si può attirare l’attenzione dei giovani. Pasolini provocatoriamente si diceva “comunista e pederasta” per darsi una esclusività mediatica. Bisogna essere fieri e coraggiosi. Sempre. Per usare un esempio valido: i bambini urlano perché i genitori si insultano, e così per il teatro, i giovani non ci vanno perché non viene attirata la loro curiosità nel modo giusto.

CHE COS’E’ PER LEI L’IRONIA?
Beh, la risposta la dovrebbero dare i critici teatrali. Comunque una mia amica che è stata in Cina mi raccontava che i bambini cinesi ridevano del suo naso troppo lungo. Il che mi fece pensare a Pinocchio. In sostanza voglio dire che si ride solo di ciò che si conosce molto o di ciò che si ignora. Per quanto riguarda la tecnica recitativa, Daria Nicodemi disse che solo cambiando il tono di voce puoi traghettare il pubblico dal riso al pianto e viceversa ed io sono d’accordo. C’è un filo sottile, un filo d’oro, che divide il tragico dal comico. Pensando a un esempio concreto di ironia mi viene in mente Mussolini e i suoi discorsi pubblici. Era un pessimo attore, nel senso che la sua ironia era davvero eccessiva, tale da risultare macchiettistica, auto-caricaturale, patetica: s’alzava sulle punte, gonfiava il petto, roteava gli occhi …

SI E’ SPESSO SERVITO DELLA POESIA COME MEZZO PURO DI COMUNICAZIONE. CREDE CHE LA POESIA POSSA ANCORA RAPPRESENTARE QUALCOSA DI INDISPENSABILE?
Devo fare una premessa. L’Italia non ha mai avuto una tradizione di letteratura teatrale, noi non abbiamo avuto Shakespeare, Beckett, Harold Pinter … Abbiamo avuto solo La Mandragola di Machiavelli, poi Goldoni e infine da ultimo Pirandello. Per un periodo esisteva solo Strehler ed era dura ritagliarsi spazio fra i giganti. Io sono laureato in lettere e ho approfittato, visto che a differenza dei testi teatrali, come dicevo, l’Italia è piena di letteratura in poesia. Basti pensare che persino Galileo, che era uno scienziato, si è dedicato alla poesia con un testo che era uno scherzo, un’accusa alla toga. Le rime a teatro sono come le ciliegie, una tira l’altra. Io sono fiorentino e ovviamente prediligo il verso endecasillabo, rileggo infatti sempre Dante, anche se ora sto rileggendo Boccaccio, il quale diceva che il teatro è per le donne, gli uomini hanno già la caccia che li tiene occupati. A me piace definire certi autori che ho usato come “mariti” che hanno tra le gambe troppa “materia” non magazzinabile, cioè sono fonti inesauribili di ispirazione. Ecco perché sto rileggendo Boccaccio …

QUAL E’ LA CRITICA CHE PIU’ LE HA DATO FASTIDIO?
Confesso che ho sempre letto le critiche brutte. Ricordo che feci uno spettacolo su Alfieri e il poeta Edoardo Sanguineti disse che era una vergogna. Io ne fui entusiasta, lo andai a trovare e lo abbracciai. Pensai, ecco, finalmente un uomo e un critico sincero! A teatro si vede quello che si è veramente.

QUAL E’ IL SUO RAPPORTO CON LA RELIGIONE?
Beh, quando ero piccolo, e parliamo dell’era fascista, mica potevo andarmene in giro con il mio fucilino giocattolo … Era ovvio che preferivo la Chiesa, a tutto il resto. E poi come negare il fascino di venti secoli di atroci splendori. Ricordo la messa di mezzanotte, io vestito da chierichetto che portavo un cero grosso come una ruota di carro e l’immagine del Gesù risorto, bello e lucido, rosa come un salmone che veniva fuori dalle acque spumose, verso cui provavo un’attrazione incontenibile … Era come una ossessione carnale. Avevo anche simpatia per la Madonna. Ma al di là di tutto questo, definibile come suggestione culturale, e non religiosa in senso stretto, preferisco dire che ho sempre fatto fatica ad avvicinarmi al celeste, all’impalpabile, credo insomma più all’umanità che all’assoluto, anche se discordo con quello che scrisse Anna Frank nel suo diario: dopo tutto gli uomini NON sono MAI buoni in fondo al cuore.

CARMELO BENE RITENEVA IL CINEMA UN MEZZO ESPRESSIVO MINORE RISPETTO AL TEATRO. LEI E’ D’ACCORDO?
Non mi sono mai posto questo quesito. La mia amica Laura Betti diceva che il cinema è teatro nel cabaret, altri davano definizioni ancor più complesse e arzigogolate. Ho sempre avuto rispetto per Carmelo Bene. All’inizio della sua carriera, avevi l’impressione che avesse frantumato ogni certezza precedente. Solo a guardarlo ti sentivi riavere, un portamento indistruttibile. Ma devo anche dire che con gli anni la stranezza divenne gratuita, voglio dire che stranezza per stranezza non porta a nulla.

GIOCANDO ALLE INTERVISTE IMPOSSIBILI, QUALE PERSONAGGIO STORICO LE PIACEREBBE INTERVISTARE?
Nessuno, perché ogni personaggio è in parte inventato. Solo le persone sono vere. Io amo principalmente le persone non importanti.

UN SUO AUGURIO?
Da toscano uso la metafora di Pinocchio. Mangiafuoco passava per cattivo, e invece dava le monete d’oro ai suoi attori burattini. La fatina invece, che passava per buona, era invece cattiva, cattivissima. Si limitava infatti ad ammonire il “peccatore” solo dopo il “peccato” commesso … come una voce da inquisizione. Meditate dunque su cosa sia nel profondo la verità.

Ignazio Gori

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